Union - THE BLUE ROOM - la recensione

Recensione del 13 mag 2000

I californiani Union potrebbero essere, per alcuni sprovveduti, solamente l’ennesima entità hard rock all’affannosa ricerca di quella fetta di popolarità necessaria per sopravvivere nella giungla del music business americano, oramai abitata da superstar nu-metal come Korn e Limp Bizkit. I più attenti però non mancheranno di notare che la band, qui alla seconda prova, racchiude tra le proprie file due grossi nomi della scena rock degli anni ’80 e ’90: Bruce Kulick e John Corabi. Un passato di tutto rispetto, quello dei due musicisti - rispettivamente un ex-Kiss ed un ex-Mötley Crüe - ma anche un destino comune che li ha visti terminare la propria passata carriera in un modo che si potrebbe definire dei meno felici. L’omonimo esordio del 1998 non faceva trapelare in alcun modo le effettive doti degli Union, ma “The blue room” sembra raggiungere un livello più alto, riuscendo laddove si era in precedenza fallito. Pur ammettendo che nulla in questo disco ha il sapore del rinnovamento, è difficile non rimanere affascinati dall’hard rock di questi americani. Le influenze del sound di Seattle si affacciano ancora prepotentemente nelle loro note, avvicinandosi a certe sonorità che fanno ricordare un capolavoro del rock dei primi anni ’90 targato Alice In Chains: “Facelift”. Ma il passato, si sa, è difficile da dimenticare, e neanche Kulick sembra volersi esimere dal farlo, arrivando qui persino a cantare una ballata dedicata allo scomparso amico Eric Carr, la struggente “Dear Friend”. I migliori episodi del disco si possono ascoltare nell’energica “Who do you think you are” (Alice In Chains docet!) e “Do your own thing”, ma anche nella solare “Shine” e nella cupa “Do you know my name”. Tutto è ben supportato dal carisma e dal lirismo dei vocals di Corabi, così come dalla professionalità alle sei corde di Kulick (il quale dichiara di aver usato in questo disco nientemeno che venticinque modelli differenti di chitarra!): caratteristiche che fanno la differenza in quello che sembra essere un limpido esempio di come si debba suonare oggi dell’onesto hard rock.

Tracklist

01. Do your own thing
02. Dead
03. Everything’s alright
04. Shine
05. Who do you think you are
06. Dear friend
07. Do you know my name
08. Hypnotized
09. I wanna be
10. No more

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