di Simöne Gall
In tempi ardui, lasciar defluire il suono di un album di siffatta purezza com'è 'Mixing Colours' può essere utile a infliggere un senso di benessere mentale, così da riconquistare quella quiete interiore che oggigiorno assume un carattere sempre più prezioso. La rinnovata collaborazione sonora dei fratelli Eno trova realizzazione per mezzo dell'etichetta Deutsche Grammophon, che una volta tanto si discosta coraggiosamente dalla sua comfort zone prettamente classica (fondata ad Hanover nel 1898 da Emile Berliner, l'inventore del grammofono, e da suo fratello Joseph, resta l'eccellenza più prestigiosa nell'ambito della musica classica). Anche se a dirla tutta, nel caso di 'Mixing Colours', sempre di musica colta si tratta. Una mescolanza di suoni eterogenei le cui nostalgiche melodie un po' schubertiane di Roger Eno si annodano sistematicamente e in maniera del tutto naturale (o sarebbe meglio dire parentale) all'approccio sonoro più concettuale del fratello Brian.
L'album viene ufficialmente alla luce nel primo giorno della nuova stagione primaverile, quando la natura rinasce e piante e campi rifioriscono, avviluppati dal gradevole calore, non ancora invadente come quello estivo, del manto solare. Da questa osservazione, l'ampiezza di 'Mixing Colours' sembra volersi spingere fino a toccare l'aspetto trascendentale del sentire interiore, rendendo ancora più fortificante l'esperienza uditiva che ne consegue: dalla traccia di apertura, "Spring Frost" - titolo che lascia pensare al romanzo mishimiano 'Neve di Primavera', dell'irrinunciabile tetralogia 'Il Mare della Fertilità' - fino alla conclusiva "Slow Movement: Sand", in cui la musica viene da ultimo concessa ai suoi elementi essenziali di colore, timbro e pulsazione.
'Mixing Colours' lascia esperire una volontà di ricerca meditativa che concerne lo spostamento delle sfumature tonali ed i contrasti timbrici del suono; "Burnt Umber", "Obsidian", "Verdigris" o la splendida "Celeste", infatti, richiamano tutte a un diverso colore, e così l'album nella sua quasi globalità. Colori che, come suggeriscono gli affezionati fratelli (circola in questi giorni una foto dei due nell'atto di abbracciarsi, un gesto che, visti i tempi, rischia di diventare sempre più obsoleto - ma si spera di no), sono complementari agli stessi che compongono un dipinto astratto, come può esserlo quello che fa da copertina al loro disco, ad opera del contemporaneo Dom Theobald, print-maker, pittore e artista digitale originario di Norfolk, contea dell'Inghilterra orientale.
Per catturare gli effetti calmanti della musica ivi inclusa, Brian Eno, in collaborazione con il musicista e designer di software Peter Chilvers, ha voluto produrre una serie di cortometraggi effettuando le riprese durante il viaggio in treno, guardando il paesaggio esterno dalla trasparenza dei finestrini. Musica per ferrovia, volendo parodiare il titolo dell'album ambient per antonomasia, ovvero 'Music For Airports', che Eno realizzava (era il 1978) nell'intento di disinnescare l'atmosfera tesa e ansiosa del terminal aeroportuale, eludendo gli elementi derivativi e familiari della tipica "musica inscatolata" degli altoparlanti (la cosiddetta "muzak").
"Più ti concentri su quest'album, tenendo a mente i favolosi universi creati da Brian, più riesci a incamminarti e ad ambientarti lungo tutto il suo enorme paesaggio", spiega invece l'Eno più giovane e meno noto, le cui brillanti patine di pianoforte si lasciano introiettare in "Blonde", "Dark Sienna", "Snow" e "Iris", unica traccia dell'album che non si riferisce a un colore specifico. Qui, ogni nota è posta con cura, a creare suggestioni di morbida perdizione spaziotemporale. Sebbene Roger sia il musicista principale, in questi brani relativamente corti, essi sono altresì accostabili ai lavori che il fratello Brian realizzò con Harold Budd, su tutti l'intramontabile 'The Pearl' (1984). Altro fondamentale capitolo ambient che, assieme al qui presente 'Mixing Colours', andrebbe ascoltato per ascoltarsi.