Il gran ritorno della sposa morente

Disco numero 14 per la tormentata band di Bradford, che adotta un approccio leggermente più easy

Recensione del 06 mar 2020 a cura di Andrea Valentini

Voto 8/10

Sul finire dell’estate di 30 anni fa esatti, quella dei mondiali di calcio di Italia 90 per intenderci, a Bradford – a una quindicina di chilometri da Leeds – prendeva vita la creatura My Dying Bride per opera del cantante Aaron Stainthorpe e del chitarrista Andrew Craighan.
Una band - in più occasioni e da più parti - considerata una delle più tristi e sconsolate di tutto il Regno Unito... questo per la capacità di evocare atmosfere sconsolate, intrise di gelida disperazione e senso d’impotenza.

Una sorta di catarsi, per certi versi, ma anche un’esperienza da non affrontare a cuor leggero. Tanto che Stainthorpe ha dichiarato: “Concordo. I My Dying Bride sono sempre stati, o meglio sono, qualcosa di unico. ‘Rolling Stone’ ci ha definiti l’equivalente di ‘Dracula’ di Stoker per le orecchie”. E a tre decenni di distanza, la storia continua… a dispetto di tutto: malattie (nel 2015 la figlioletta di Stainthorpe ha lottato contro un cancro – fortunatamente sconfitto), defezioni dalla band e le mille altre difficoltà che la vita ci scaraventa addosso.

Questo è il senso di "The Ghost Of Orion", album numero 14 della band che – a scanso di equivoci – non è comunque solo uno statement di resilienza, forza di volontà e longevità, ma ha anche un gran bel valore musicale. Questa manciata di brani di doom metal rock da manuale è il risultato di lunghe session di scrittura – con l’aiuto di vino in abbondanza, si dice – del chitarrista Andrew Craighan, rimasto virtualmente solo mentre la band pareva sgretolarsi attorno a lui. Quando il polverone dei guai ha iniziato ad abbassarsi, il tutto è diventato un disco, con una line-up rinnovata (alla batteria un ex Paradise Lost: Jeff Singer). Il risultato è un distillato di sofferenza irresistibile, come un infuso d’abbazia da sorseggiare cum grano salis.

I brani del nuovo album, dunque, sono My Dying bride al 100%, ma con qualche twist e differenza. E lo ha spiegato Stainthorpe stesso, dichiarando: “Per ‘The Ghost Of Orion’ abbiamo cercato di perseguire qualcosa di leggermente diverso rispetto al passato. È sempre il sound dei MDB. È pesante come l’Inferno. È triste come non mai. Eppure è più easy da ascoltare. Oserei dire che ci sono anche dei momenti orecchiabili qui. Insomma, abbiamo cercato un approccio un po’ più facile a beneficio dell’ascoltatore, piuttosto che investire la gente con un concentrato soffocante di disperazione senza un motivo apparente. Abbiamo voluto provare a rendere i My Dying Bride un po’ più accessibili”. E, a onor del vero, la missione è riuscita – anche se l’accessibilità non sacrifica nulla a livello di mood, feeling e atmosfera.

Salutiamo, quindi, il gran ritorno della sposa morente…

Tracklist

01. Your Broken Shore (07:40)
02. To Outlive the Gods (07:54)
03. Tired of Tears (08:35)
04. The Solace (05:50)
05. The Long Black Land (09:59)
06. The Ghost of Orion (03:29)
07. The Old Earth (10:30)
08. Your Woven Shore (02:08)

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