Un’introduzione strumentale sul modello delle colonne sonore dei film d’azione, un po’ Morricone e un po’ John Barry. Pop e musica da club. Indie e hip-hop. “The S.L.P.” è un album-playlist. Nel debutto solista di Serge Lorenzo Pizzorno dei Kasabian ci sono idee, stili, suoni accatastati senza criterio apparente. Anzi, il criterio c’è e lo ha spiegato il musicista inglese a Rockol: questo disco vuole essere “un luogo di sperimentazione dove fare quel che mi va, senza regole, né obiettivi”. La debolezza dell’album non sta nella varietà di stili, ma nella discontinuità. Per dirla all’inglese, per ogni canzone “killer” c’è un “filler”.
“The S.L.P.” nasce da alcune musiche composte per il cinema da Pizzorno una decina d’anni fa. Sono i tre frammenti intitolati “Meanwhile… in Genova”, dove emerge un po’ dell’italianità del musicista, “Meanwhile… at the welcome break” e “Meanwhile… in the silent nowhere”. Pizzorno li ha piazzati all’inizio, al centro e alla fine dell’album, per trasmettere l’idea di una narrazione cinematica. Il disco è nato riempiendo gli spazi fra questi pezzi, offrendo un autoritratto in cui ogni canzone mostra un lato della personalità del musicista.
Ecco allora Pizzorno trasformare una nottata di dissolutezza in un pezzo intitolato “Lockdown” che trasmette ansia e senso di claustrofobia, fra beat che rimbombano nelle cuffie e suoni gracchianti di chitarra elettrica. Eccolo mettere in musica, in “Nobody else”, la necessità di smettere di fuggire dalle cose sovrapponendo accordi di pianoforte, rumori di sottofondo, una cassa incessante, la frase tormentone “can’t beat the feeling”, un’atmosfera da Ibiza-in-camera. Eccolo cantare di identità digitale in “Favourites”, con Little Simz, esplorando nella musica iper-pop il confine fra gioco e follia.
Non tutti gli esperimenti sono perfettamente riusciti. “Soldiers 00018”, con ospite Slowthai, usa sintetizzatori e voci filtrate per evocare un’atmosfera di odio e xenofobia. Non è un pezzo memorabile, ma contiene una delle rime più divertenti del disco, sugli inglesi: “Why can’t a nation of drinkers be a nation of thinkers?”. Il rock da club di “((trance))” è già sentito e sorretto da una melodia pop che in parte lo riscatta, mentre il pastiche stilistico di “The Wu” è vanamente frenetico ed eccitato. Killer e filler, appunto.
Pizzorno ha fatto uno sforzo per tenersi lontano dalla strumentazione rock tradizionale. Ha per così dire miniaturizzato la sua musica. Da una parte, ha costruito le canzoni partendo da brevi frasi, a volte campionate, messe in loop, fatte entrare e uscire dal mix. Dall’altra ha utilizzato strumenti portatili come drum machine e piccole tastiere, usando le possibilità del collage digitale. Ho la sensazione che ci scorderemo presto di “The S.T.P.”, ma se non altro l’album ci fa conoscere Pizzorno come musicista giocoso e anarchico.
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