Lana Del Rey è tornata. Ed è più nostalgica che mai

La recensione del nuovo album "Norman fucking Rockwell", che segna il ritorno in grande stile della diva statunitense del pop: 70 minuti di ballate nostalgiche che non ammettono concessioni ai suoni che vanno per la maggiore oggi nelle classifiche.

Recensione del 31 ago 2019 a cura di Mattia Marzi

Voto 7/10

"L.A. in in flames, it's getting hot / Kanye West is blond and gone / 'Life on Mars' ain't just a song / I hope the live stream's almost on". Non è semplice nostalgia, quella che affligge Lana Del Rey in "Norman fucking Rockwell". C'è un malessere più grande dietro le canzoni del nuovo album in studio della diva statunitense del pop, il quinto della sua carriera: il rimpianto del passato è accompagnato dal desiderio di tornare indietro nel tempo per fuggire da un presente che proprio non le piace, descritto nei versi che chiudono "The greatest". Sullo sfondo c'è l'America: quella di ieri, affascinante, forte ma non per questo priva di contraddizioni; e quella di oggi, che invece è confusa, smarrita e ancor più piena di contraddizioni rispetto al passato, con il sogno americano - rappresentato dalla figura dell'illustratore a cui è dedicato il titolo del disco, artista patriottico delle cui opere il governo e i media si servirono per tenere alto il morale della nazione durante la Seconda guerra mondiale - ormai tramontato.

Dopo aver collaborato con ASAP Rocky, The Weeknd e Max Martin a quello che resta il disco più pop della sua carriera, "Lust for life", qui Lana torna ai suoni di "Ultraviolence", rendendo ancora più riconoscibile il suo stile, tra soft rock, dream pop e un pizzico di psichedelia. Chi temeva che Jack Antonoff, diventato negli ultimi anni il produttore di riferimento di un certo pop internazionale (vedi le collaborazioni con Taylor Swift, Pink, Lorde e Troye Sivan), potesse portare la Del Rey a flirtare con sonorità più radio-friendly, non ha fatto i conti con la personalità della cantautrice e con la sua precisa visione della musica.

Non aspettatevi un disco di potenziali hit. Tra tutti gli album pubblicati da Lana Del Rey nel corso della sua carriera fino ad oggi, "Norman fucking Rockwell" è quello più a fuoco e più coraggioso: 70 minuti di ballate nostalgiche che non ammettono concessioni ai suoni che vanno per la maggiore oggi nelle classifiche, idealmente ambientate in quella California che ha sempre rappresentato una fissa per la cantautrice statunitense (tra gite in barca, surfisti, viali con le palme, locali vista oceano) e interpretate con il piglio di una diva d'altri tempi qual è Lana, da ascoltare durante le passeggiate in spiaggia all'ora del tramonto o lunghi viaggi on the road. Sognando quell'America che avete più volte visto nei film e che la Del Rey oggi rimpiange. Alla fine avrete bisogno di svuotare un barattolo di Nutella per tirarvi su di morale e mettere da parte la tristezza

Non sarà il "next best American record", come si augura Lana nell'omonima canzone - in cui ad un certo punto cita anche "Houses of the Holy" dei Led Zeppelin (invece in "Bartender" c'è un riferimento a Crosby, Stills e Nash, e qui e là sono disseminati altri omaggi al rock) - ma "Norman fucking Rockwell" è un gran disco. Nell'era dello streaming, in cui per fare successo bisogna semplicemente piazzare qualche singolo nelle playlist giuste, incidere un album che dovrebbe essere ascoltato per 70 minuti, senza skippare le tracce, è da folli. Ma Lana ci piace anche - e forse soprattutto - per questo.

Tracklist

01. Norman fucking Rockwell (04:08)
02. Mariners Apartment Complex (04:07)
03. Venice Bitch (09:37)
04. Fuck it I love you (03:38)
05. Doin' Time (03:22)
06. Love song (03:49)
07. Cinnamon Girl (05:00)
08. How to disappear (03:48)
09. California (05:05)
10. The Next Best American Record (05:49)
11. The greatest (05:00)
12. Bartender (04:23)
13. Happiness is a butterfly (04:32)
14. hope is a dangerous thing for a woman like me to have - but I have it (05:24)

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