La libertà salvifica sognata da Winston Smith, il protagonista della celebre opera di George Orwell “1984”, si presenta per il dimesso impiegato del Ministero della Verità con settant’anni di ritardo, nel disco che altri suoi omonimi, i The Winstons, gli hanno intitolato. Il secondo album del terzetto dei “fratelli” Enrico Gabrielli, Lino Gitto e Roberto Dell’Era, nelle vesti di Enro, Linnon e Rob Winston, aggiunge ulteriore anarchia alla macchina del tempo della band, spostando la spiccata vena psichedelica del power trio verso un territorio fumoso che miscela glam, jazz, garage e beat, senza curarsi troppo di mode e orizzonti sonori.
Le caotiche note dell’introduttiva “Mokumokuren” svelano presto gli scenari sospesi di “Smith”, sprigionando dapprima il groove impazzito a colpi di sax di “Ghost Town” - che offre i primi echi dello spirito di Syd Barrett - e poi si acquieta nella liquida pulsazione di una esageratamente sessantiana “Around the boat”. Altrove, invece, a prendere la scena è la tensione delle svisate prog, come in “Not dosh for parking lot”, o la zuccherina melodia dei fiati di “Blind”. C’è un richiamo musicale importante alle atmosfere colorate della Swingin’ London, così come alle nebbie acide di San Francisco, dall’altra parte dell’oceano. Si ritrovano così in queste dodici tracce l’improvvisazione magnetica dei Grateful Dead e la sperimentazione programmatica dei Soft Machine, riportando in superficie una finestra su un'inventiva solo in apparenza distante dai nostri tempi. Tra mini-suite (come quella in due tempi di “Tamarind smile/Apple pie” e lo straniante space-rock cantato in greco di Sintagma), fughe lisergiche e brucianti fraseggi di hammond, bassi e batterie, una nutrita schiera di ospiti ha dato il suo contributo all’album, dal fidato Tommaso Colliva in cabina di regia, al violino di Rodrigo D’Erasmo in “Around The Boat”, alla tromba di Federico Pierantoni in “Tamarind” e, ancora, Mick Harvey dei Bad Seeds in “A Man happier than you”, Richard Sinclair dei Caravan in “Impotence”, fino al finale con Nic Cester, impegnato nell’energico proto-punk di “Rocket Belt”.
Registrato all'home studio appartenuto a Mike Oldfield nel Buckinghamshire e poi in Italia, “Smith” rappresenta la voglia dei tre musicisti di muoversi secondo una geografia senza confini, proiettati in un continuo saliscendi tra passato e presente, incrociando ironia e serietà fin dal titolo che potrebbe suonare anche come “Winston’s myth”, ovvero il mito dei Winstons. Una manifestazione di orgogliosa attitudine libertaria che in molti definiscono rock n’ roll, ma che in realtà è semplicemente “vita”.