Si scrive Villagers, ma si legge Conor O' Brien. Il cantautore irlandese torna oggi con il quarto album dedicato al suo progetto musicale in cui ricopre il ruolo di compositore, musicista di gran parte degli strumenti, arrangiatore e cantante. Questa volta il suo chamber pop, sempre a cavallo tra folk moderno e pop di qualità, si arricchisce di suoni nuovi mutuati dal r&b contemporaneo. L'iniziale “Again” è un bel bilanciamento tra l'acustico del piano e la chitarra acustica e il modulo ripetuto tipico dell'elettronica con un finale quasi prog, mentre la successiva “Trick of the Light” ha un bel giro della linea di basso gloriosamente soul; entrambi le canzoni ci ricordano quel disco di magnifico di David Gray (“White Ladder”, 1998) che segnò fortemente il suono della fine degli anni '90 e degli anni successivi.
L'altro elemento che caratterizza “The Art of Pretending to Swim” è dato dalle liriche. Fin da “Becoming a Jackal” l'esordio che nel 2010 fu candidato al Mercury Prize, i testi di Conor O' Brien erano profondi e lirici, ma in questo disco il tutto gira intorno a temi alti come fede, grazia e sopravvivenza. L'arte di fingere di nuotare è quindi una metafora sulla vita e sulla fede cieca («cause I’m a fool for the burden of the promise of an aeternal life in heaven», canta nel singolo Fool). In “Again” canta di una personale riscoperta della religione ("Ho ritrovato di nuovo un posto nel mio cuore / Di nuovo Dio, ancora sotto forma di arte”). Nel resto del disco il desiderio di trascendenza e salvezza si scontra con l'amore e il peccato, mescolando il linguaggio religioso con quello sessuale (“Mai un'anima ha toccato un corpo così divino, / Mai un cuore ha battuto così velocemente da eclissare il mio" in “Sweet Saviour”). “The Art of Pretending to Swim” è un disco intimo e ambizioso che certamente sarà molto amato dai fan di Conor O' Brien.