Arriva la guerra. La guerra che fa tremare i vetri delle finestre, la guerra con le bombe. Bombe che cambiano le giornate, che gelano le coperte dei letti diventati troppo grandi, che costringono a traslocare perché i soldi stanno finendo. Bombe che non fanno rumore in una quotidianità qualunque, ma cambiano i riferimenti, tirano giù palazzi e lasciano spianate in cui confondersi. Succede poi che in quelle spianate si trovano nuovi riferimenti, diversi da quegli altri, e che da quelli si inizia a tirar fuori qualcosa.
E succede poi che la vita, quella più naturale, quella appiccicosa come frutta bagnata, torna a fare visita. In un anno la guerra esistenziale fa il suo corso, e quello che rimane dopo è il futuro coniugato al presente di un dopoguerra privato.
Siamo ad un anno e mezzo da “Camper”: un periodo intenso, in cui diverse vicissitudini personali hanno smantellato in breve tempo situazioni ritenute stabili e sicure, facendo tabula rasa delle certezze conquistate negli anni. Il soggetto della discussione è Bonetti, cantautore salito alle cronache proprio per il primo album, buon esempio di cantautorato indie con chitarre belle in vista a guidare melodia sempre piuttosto riflessive. Un esordio cui oggi fa seguito questo “Dopo la guerra”, titolo che necessariamente non può che riferirsi al periodo di cambiamento vissuto da Bonetti stesso. Cambiamento che nei fatti ha trovato la forma di un pop di tutt’altro spessore in cui le chitarre, comunque ancora belle presenti, hanno lasciato la ribalta ai synth. Un cambio introdotto dal minuto e mezzo strumentale “Signore e signori, veniamo dal tutto vogliamo niente”, incipit programmatico che imposta la velocità di marcia di un disco sicuramente introspettivo, un lavoro in cui echi di De Gregori si mischiano al più recente Brunori (“Correre forte”, “Cosa mettono nei muri”, “E’ guerra”), il lato più autoriale del disco, lasciando saltuariamente spazio da un pop più esplicito (“Eleonora”, “Gerani”) guidato proprio dai synth di cui sopra. Due anime che si fondono in quelli che effettivamente possiamo timbrare come i pezzi migliori del disco, non a caso messi in chiusura del disco: “Dobbiamo tirar fuori qualcosa”, “Il futuro” e “R”.