Direttamente dalle contee del centro America - per l’esattezza Kentucky - i Black Stone Cherry sono tornati alla ribalta con un album pregno di energia e vitalità. Il sesto lavoro studio “Family Tree” è una scarica di adrenalina allo stato puro che tiene botta per tutti i cinquanta minuti di musica, nel pieno stile rock “made in USA”. Chitarre aggressive come dei cannoni, una sezione ritmica travolgente ed una vocalità che trasuda passione, merito del vocalist Chris Robertson; insomma tutti gli elementi che rendono questo lavoro davvero piacevole.
L’esperienza che il quartetto di Edmonton ha maturato negli anni ha fatto si che arrivasse ad un punto di maturità tale da permettersi di mantenere un proprio stile ben definito, senza dover dimostrare nulla a nessuno; e con questo disco ci sono riusciti alla perfezione. Del resto, Robertson e soci hanno alle spalle quasi venti anni di attività.
La linea stilistica del disco è molto uniforme in tutte le tredici tracce che lo compongono: riff possenti con lunghe improvvisazioni di chitarra sono la base portante di ogni brano.
Si parte con il singolo “Bad Habit”, un vero rock nudo e crudo; voce graffiante, chitarre distorte che si alternano con fraseggi veloci e un cambio di ritmo - un vero effetto sorpresa - nel momento dell’improvvisazione, il tutto accompagnato dagli acuti di Robertson che regalano ancora più enfasi alla traccia. Questo aspetto si ripete più volte nel corso del disco. Sullo stesso stile è il brano “Burnin’”. “New Kinda Feelin’” richiama molto i riff degli ZZ Top. “My Last Breath” è la ballad per eccellenza; suoni dolci e profondi arricchiti da una sezione corale che fa da supporto alla voce principale con una base rock leggera che non si allontana molto dallo stile musicale del disco.
“I Need a Woman” e “Get Me Over You” sono le tracce più ritmate del disco, forse anche quelle più potenti: chitarre ben distorte che ricordano molto le dinamiche degli Slash’s Snakepit, non solo per l’arrangiamento, molto simile a quello di Slash, ma anche per il cantato, sullo stesso stile del vecchio Rod Jackson, il secondo vocalist degli Snakepit.
Per arrivare alle conclusioni, il disco è facilmente digeribile per ogni tipo di ascoltatore che non ha grosse pretese, così come non le hanno avuto i BSC che hanno saputo mettere in piedi un bel lavoro, completo di tutti gli elementi principale del rock, chitarre grosse con delle gran distorsioni, ritmica molto serrata e un cantato graffiante che ti accompagna dalla prima all’ultima traccia. Un bel disco, non c'è che dire.
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