Si adonteranno, lo sappiamo, i seguaci del Santo Cantautore. Ma non saranno certo le brutte parole di un recensore cattivo (e certamente in malafede) a scalfire la luminosa figura di Padre Guccino. Facciano come niente fosse, come è giusto che sia: ognuno si infligge il male che preferisce. Certo il Santo ha ormai scelto di mettere il meglio di sé nei libri gialli o nella redazione di cronache epafaniche. Agli acquirenti dei suoi dischi, che chiedono soprattutto “tristezza che li avvolga come miele” - ovvero piagnistei in cui specchiare la propria autocommiserazione - solo questi riserva, corredati dell’immancabile, compiaciuto riferimento letterario (Cervantes), e della canzone didattica per i figli in kefiah degli adepti (persino Raf, in “Jamas”, era stato meno banale su Che Guevara). Il disco, appena uscito, è andato al n.1 in classifica. Quindi, come si diceva per Elvis, milioni di fans non possono sbagliare. E allora, sia: contenti i devoti, contenti tutti.
Ma in attesa delle stimmate sulla Santa Barba e della proposta di Nobel per la Letteratura - avanzata da Veltroni - ci permettiamo di girare al largo con le gambe in spalla, e consigliare lo stesso ai non praticanti della Chiesa di Culodritto. Sempre che l’Inquisizione, che attende i vigliacchi che osano avanzare perplessità sull’Arte e Poesia del Sommo (chi dissente finisce nell’”Avvelenata”), ce lo consenta.
Postilla
Ci conforta il pensiero che Padre Guccino in “Addio” confessi che “qualche volta si vergogna di fare il suo mestiere”. Sempre “per colpa di altri”, resta inteso - ma comunque è già qualcosina. Siamo commossi.