Caro Rockol,
PS. Dài da mangiare al piccione e rimandamelo.
Giunta in data 14/2/2000, a mezzo busta nera, con indirizzo scritto in rosso.
Caro Rockol,
ti scrivo dal mio piccolo angolo di paradiso, dove sto sentendo “Bloodflowers”. Chi più felice di me? Come sai, quando smetto di atteggiarmi a critico musicale, ascolto le cose che più mi piacciono, e i dischi dei Prodigy li uso come sottobicchieri (ho dei bicchieri enormi). Per qualche motivo che non ho mai ben capito, i dischi dei Cure mi hanno sempre messo in contatto con qualche bizzarra regione di me stesso sulla quale pochi altri musicisti hanno fatto luce. E confesso che quando i critici, quelli veri, sentenziano che dopo “Pornography” sono scoppiati, faccio un pochino di sì con la testa perché non bisogna mai discutere con un critico - ma la realtà è che anche gli album degli anni ’90, quelli considerati privi di vitalità o di fuoco creativo, sono per me un ascolto delizioso. “Wild mood swings”, con i suoi travestimenti, mi aveva un po’ spaventato. “Bloodflowers” invece è pura essenza di Cure, un distillato unico. Mancano, rispetto a “Wish”, i regalini agli ascoltatori casuali (“High” o “Friday I’m in love”, le più commerciali. Che pure, lo confesso, adoro!): “Maybe someday” come singolo è quasi uno scherzo, e viene da ridere a pensare alle radio che tenteranno di sistemarlo tra i Blink 182 e Christina Aguilera. Ma “Out of this world”, il primo pezzo, è come una porta per un mondo a sé: chi ci vuole entrare, può farlo, chi non vuole, beh, che se ne stia fuori: noialtri ci stiamo benissimo. E quanto agli undici minuti di “Watching me fall”, lascia che ti dica una cosa: sono pochi. Per me potrebbe durare anche qualche giorno.
Alla fin fine, non credo che “Bloodflowers” sia un capolavoro. Ma da innamorato - al Cu(o)re non si comanda - credo che gli innamorati dei Cure saranno contentissimi: questi suoni sono preziosi, e non voglio nemmeno pensare all’eventualità che un giorno non mi giungano più. Se poi qualcuno dirà che si tratta sempre della solita roba, posso solo dire: e con ciò? E’ esattamente quello che volevo.
Ai lettori: le due recensioni ci sono pervenute dalla stessa persona, evidentemente dilaniata da conflitti interiori sullo spessore artistico del disco dei Cure. Che dire? Uno schizofrenico non soffre mai di solitudine...