di Luca Albini
Rockol, in collaborazione con Legacy, propone periodicamente recensioni di dischi storici o o del passato recente, comunque da riscoprire.
Gli stravolgimenti a livello di line up, specie se tra le defezioni si può annoverare quella di chi occupa il posto dietro al microfono, possono facilmente rivelarsi un'arma a doppio taglio per un gruppo musicale. Un passo verso lo sbandamento e la spersonalizzazione, o al contrario una campagna acquisti rinvigorente ed efficace? Nuova linfa e quindi nuova ispirazione, oppure confusione e perdita di identità? L'abbandono (per la seconda volta nella storia della band) da parte di Christopher Amott , fratello del leader Michael, anche lui chitarrista, e della cantante Angela Gossow, in favore di Nick Cordle (ex Arsis) alla sei corde e di Alissa White-Gluz (ex The Agonist) in veste di cantante, poteva riservare brutte sorprese, ed invece: niente. Niente, nel senso che il decimo capitolo in studio della discografia non sposta di una virgola le coordinate sonore della proposta degli Arch Enemy. Cordle, tra l'altro è già stato sostituito, dopo la pubblicazione di “War Eternal”, da Jeff Loomis, già brevemente con i Sanctuary e poi co-fondatore, insieme al cantante Warrel Dane ed al bassista Jim Sheppard (anche loro dai Sanctuary) dei Nevermore. Ferma restando la leadership di Michael Amott, gli Arch Enemy con la canadese Alissa dietro al microfono si confermano in tutto e per tutto la creatura dall'identità sonora che abbiamo imparato ad apprezzare fino ad oggi, con in più una grinta maggiore nel cantato, sebbene fedelmente radicato sui binari di quanto faceva già la Gossow.
Atmosfera e tensione nell'intro “Tempore Nihil Sanat (Prelude In F Minor)”, poi “Never Forgive, Never Forget” decolla a tutta velocità, evidenziando l'intenzione di mettere subito le cose in chiaro con una partenza durissima e senza compromessi. Il graffiante apporto vocale si dimostra subito credibile e all'altezza, a metà tra screaming e growl, grintoso e aggressivo come il genere richiede. “War Eternal”, il brano, è giocato su un midtempo ficcante e d'impatto, ricco di parti melodiche e di cattiveria, venato di thrash metal ad alta caratura. Gli assoli, equamente divisi tra Amott e l'ormai ex Cordle, si confermano uno dei punti di forza del gruppo. Segue la intensa e potente “As The Pages Burn” che innalza un muro sonoro epico e solenne, modellato su una voce che è una frustata ai timpani, e trapuntato da fasi soliste trascinanti e ricche di melodia. Inizia con un gustoso assolo “No More Regrets”, mid tempo dotato di una sua solarità, figlia di una ispirazione che affonda le sue radici nel metal classico di matrice teutonica ed arricchito da stop and go che regalano un grande dinamismo alla struttura del pezzo.
“You Will Know My Name” parte tesa e rarefatta, facendo leva anche su una sottotraccia orchestrale, e sembra quasi essere una dichiarazione di intenti da parte della bella Alissa, che mette in mostra doti di screamer per nulla da sottovalutare, riuscendo ad essere espressiva pur in un contesto tanto apparentemente limitato come il growl. Una doppia cassa epica accompagna un mid tempo ispirato e solenne, e di un riffing tanto classicamente heavy quanto credibile. Il dolce interludio strumentale chitarristico “Graveyard Of Dreams” conduce al cospetto della brutale “Stolen Life”, altra zampata mid tempo priva di qualsivoglia parte pulita nel cantato (un peccato, forse...), ma dinamica e trascinante, che mette in luce la solidità di una band che evidentemente ha ancora qualcosa da dire. “Time Is Black” risulta tra gli episodi più riusciti dell'intero lavoro, dipanandosi su una serie di riff e di accelerazioni sorretti da arrangiamenti orchestrali che ne esaltano la potenza più che smorzarla. “On And On”, dall'incedere tortuoso e mobile, è caratterizzata da parti melodiche intense – voce a parte – e da un songwriting fortemente differenziato, che alterna momenti tirati e aperture melodiche, sospensioni d'atmosfera e cavalcate a rotta di collo.
“Avalanche” si fa largo sinfonica e classicheggiante, sulla scorta di un ritmo schiacciasassi maestoso e, finalmente, di un minimo di “apertura” vocale. L'arrangiamento orchestrale impreziosisce il pezzo permettendo una serie di cambi di tempo dal gusto quasi operistico.
“Down To Nothing”, dal vago sapore heavy classico teso ed ispirato, “Not Long For This World”, strumentale dall'incedere tra il doom e l'epic più d'atmosfera che si scioglie in un suono di piano trasognato e malinconico, e “Shadow On The Wall”, dal riff di matrice tutta americana che ne farà un immancabile episodio live, a suo modo un po' avulsa dal contesto stilistico generale, chiudono un album decisamente riuscito, in cui le forze nuove sembrano aver portato con sé un vigore intenso e dal futuro promettente.