“New York” è un viaggio all’interno di vari sentimenti ed emozioni, dall’insicurezza alla paura, dalla solitudine fino all’amore. La grande città Americana ha influito tantissimo sui suoni e sulla performance creando un mix tra il rock classico e la musica alternative dei giorni nostri.
Non conoscevo Alessandro Ragazzo, l’ho scoperto con questo EP e penso di aver trovato qualcuno da seguire. E’ un po’ il mestiere di chi scrive di musica, o meglio… è parte del mestiere, e quando capita è sempre un gran piacere. Facciamo quindi le dovute presentazioni per capire di chi stiamo parlando e che cosa ci offre.
Alessandro Ragazzo è un cantautore alt pop molto giovane, classe 1994. Nonostante la giovane età però, Ragazzo ha già sulle spalle tre EP e un numero bello nutrito di date. Date che lo formano dal punto di vista musicale, riempiendo il bagaglio del cantautore di esperienze piuttosto significative. Membro degli Industria Onirica, il cui album è stato registrato e prodotto da Lele Battista, Ragazzo milita in numerose band tra cui La Febbre del Venerdì 13, Dan’s Apartment, The Rodriguez e Are You Real?. Dopo l’esordio con l’EP Ep “Venice” (Nimiq Records), Alessandro inizia ad esibirsi definitivamente in veste solista, in unplugged o con chitarra e Loop. Di “Venice” pubblica poi una versione unplugged, parliamo del 2016, giusto in tempo per entrare in studio per dare forma al nuovo lavoro.
Siamo a New York, precisamente ai Flux Studios, e Ragazzo esce con in mano quattro pezzi che vanno a comporre il nuovo EP. Il disco prende inevitabilmente il titolo “New York”, ma la parte ovvia finisce qui. Quella meno ovvia, oserei dire sorprendente, è invece quella musicale, perché i quattro pezzi di “New York” sono un piccolo compendio di ottimo pop cantautorale, venato di rock e dal vago retrogusto alternativo, dove le melodie vanno a tratteggiare paesaggi sonori dal grande impatto emotivo. Suonato interamente con una strumentazione vintage, una buona scelta che rende il tutto nettamente più vivo e corposo e old school, “New York” assesta immediatamente il discorso su binari piuttosto malinconici con l’opening “Freckels”, in cui un giovane Gary Barlow sembra far capolino tra la batteria e la chitarra, perfettamente amalgamate. Sensazione che tendenzialmente torna in “The king came”, pezzo dal sound leggermente più attuale, stile Hurts, “Cellar door”, episodio di maggiore respiro del disco, e nella conclusiva “Alone”, il pezzo che più di tutti prelude a quello che probabilmente sarà il mondo di Alessandro Ragazzo, ora atteso alla prova del full lenght. Un mondo analogico e digitale dove le chitarre (che amano perdersi in assoli d’altri tempi) vanno a mischiarsi ai synth con gran disinvoltura. Un mondo meravigliosamente melodico. Per noi, un mondo tutto da scoprire.