Un disco bellissimo, nelle musiche e nei testi, che unisce due mondi apparentemente distanti, quello del rapper con quello della pianista Isabella Turso
Se avessi la possibilità di vedere nella vita solo un altro concerto di rap italiano, sarebbe quello che nascerà da questo disco. Un disco che non è il nuovo lavoro di Dargen D'Amico, ma il primo (e forse unico) CD della coppia formata da Dargen D'Amico con la pianista Isabella Turso. La componente musicale è talmente importante in quest'opera che, sono certo, anche Dargen non si sentirebbe sminuito da questa precisazione.
Non riesco ad abituarmi, pur con il passare dei dischi e degli anni, al fatto che Dargen e Jake La Furia abbiano fatto parte dello stesso gruppo (Sacre Scuole). Con i dovuti distinguo li apprezzo entrambi eppure, soprattutto dopo questo disco, sembrano così distanti da risultare un abbinamento impossibile, come i Ramones insieme a Maria Callas.
Dargen cambia vestito ai suoi lavori con una costanza spiazzante, dopo il successo di "Vivere aiuta a non morire" un altro al suo posto avrebbe continuato su quel solco danzereccio pop anziché partorire "D'io" prima e "Variazioni" poi.
"Non ho le idee chiare" mi dice in un recente incontro a due "e questo mi permette di curiosare tra le cose.
Sì, non credo di aver capito cosa voglio fare. Il rap ha insegnato alla musica che non esiste una regola e io ho seguito questo solco. Ma se non ti fermi al vestito delle mie canzoni, in realtà un percorso c'è. Un percorso iniziato in un negozio di dischi di via De Amicis a Milano, l'unico che ti permetteva di ascoltare i vinili. Ora con Spotify hai una vita media di due canzoni, poi si salta ad altro. Ho deposto i suoni tipici del rap e mi sono imbarcato in un'operazione che per me è colossale. Solitamente se voglio cambiare qualcosa in una traccia entro in studio e registro. Qui dovevo chiamare un quartetto d'archi anche solo per cambiare una frase. Non a caso ci ho messo molto più del solito a finire il disco. Ci abbiamo lavorato per oltre un anno. La filosofia è stata quella del "ho scritto una cosa, mettiamoci al piano e vediamo che succede". .
E succede che ne è uscito un disco bellissimo, nelle musiche e in molti testi. La metrica in alcuni casi risulta quasi superflua, alcuni pezzi parlati funzionerebbero anche come un racconto in musica in stile Massimo Volume.
Le musiche, per dare un riferimento che si avvicini alle atmosfere del disco, ricordano i suoni di un certo minimalismo ispirato (l'americano Philip Glass, l'inglese Michael Nyman e, per citare anche un autore italiano, Ludovico Einaudi) Un grande plauso a Giada Mesi, l'etichetta fondata da Dargen, che nel giro di due settimane ha saputo sfornare due dischi splendidi come questo e l'album d'esordio di Dutch Nazari "Amore povero"
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