«BIG DOMINO VORTEX
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Human Colonies»
la recensione di Rockol
Human Colonies: leggi qui la recensione di "Big domino vortex"
Un lavoro formalmente ancora legato allo shoegaze tanto caro alla band, ma dal sapore anni '90. Diretto e caratteristico, con suoni distorti e potenti.
Recensione del
09 mar 2017
Voto 7/10
La recensione
L’attacco di “Sirio” è inequivocabile: i My Bloody Valentine di “Isn’t anything” e gli Smashing Pumpkins di “Gish”. La fine degli Ottanta, i primi Novanta.
Per il loro secondo EP gli Human Colonies hanno fatto un viaggio indietro nel tempo di una ventina di anni, andando a ricreare un suono specifico fatto di distorsioni portate avanti a colpi di chitarra e basso, con la testa china a fissare i piedi Fendenti ben precisi che la band nata tra Bologna e Firenze nel 2013 assesta con un’inaspettata maestria nei sei pezzi che compongono questo “Big domino vortex”, più che un EP direi quasi un mini album dove il mondo alternativo (la titletrack deve tanto ai Dinosaur Jr.
e a Mascis in particolare) si fonde con una spiccata propensione melodica; qualità questa che non va mai sottovalutata e anzi, per come la vedo io riesce sempre a fare la differenza.
Differenza che per gli Human Colonies significa non suonare come una semplice band derivativa, una band che prova a fare shoegaze come quelli di una volta, ma come una band di oggi che propone il proprio shoegaze, figlio di tanti ascolti di quelli di una volta e di tanti che sono venuti dopo. “Vesuvius”, per dire, in questo senso è quasi post rock. Un ottimo lavoro, registrato, mixato e masterizzato da Filippo Strang presso VDSS Recording Studio di Morolo, FR. Pezzi consigliati: oltre alla opening track “Sirio” direi la doppietta finale, l’arcigna “Kleio” e la tirata strumentale quasi psichedelica, manco a dirlo è il pezzo più lungo del disco, “Psychowash”, chiusura che ci ricorda come tutto sia debitore di tutto. Come, ad esempio, i Novanta dei Settanta. E se la qualità è questa, va più che bene così. Bravi.
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