«ON EARTH AS IT IS: THE COMPLETE WORKS
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Mother Love Bone»
la recensione di Rockol
L'opera completa dei Mother Love Bone: la recensione
Un quarto di secolo dopo la morte del cantante Andy Wood, il Freddie Mercury di Seattle, un cofanetto di tre CD e un DVD racconta Mother Love Bone: la recensione
Il finale è caotico, i musicisti vanno per i fatti loro, la registrazione si chiude con alcuni secondi di cazzeggio. “Ragazzi, ragazzi, ragazzi!”, dice Andy Wood fintamente scandalizzato agli altri Mother Love Bone. “Qui stiamo spendendo soldi di una grossa etichetta discografica”. Accade alla fine di “Zanzibar”, una delle tracce del cofanetto “On earth as it is: The complete works”, tre CD e un DVD che rappresentano il lascito (definitivo?) della band di Seattle da cui sono nati i Pearl Jam.
Alle canzoni pubblicate fra il 1989 e il 1990 nell’EP “Shine” e nell’album “Apple”, qui rimasterizzate, si aggiungono una ventina fra lati B, inediti, performance dal vivo, demo, versioni alternative risalenti anche al 1988, nello sforzo più completo e accurato mai fatto per presentare il repertorio dei Mother Love Bone.
Quei ragazzi stavano effettivamente spendendo soldi di una grossa etichetta discografica, la PolyGram. Ai tempi dell’incisione di “Zanzibar”, i Mother Love Bone erano con i Soundgarden la band di Seattle con le maggiori chance di sfondare. Mentre la Sub Pop stampava magliette con la scritta “Loser”, i gruppi locali più vicini all’hard rock tradizionale attiravano l’attenzione delle major che ne finanziavano le registrazioni – una cosa mai vista da una generazione di musicisti cresciuta con l’idea che lassù, nel Nordovest, la discografia che conta non sarebbe più arrivata. Wood sognava fin da bambino d’essere una rockstar e lo faceva col suo carattere clownesco cui tutto si perdonava. Era il cabarettista metal di Seattle, nella definizione del produttore Jack Endino. E insomma, la PolyGram aveva adocchiato i Mother Love Bone che avevano effettivamente del potenziale sia per la personalità sopra le righe del cantante, sia per il talento dei musicisti che lo affiancavano, il chitarrista Bruce Fairweather, il batterista Greg Gilmore, il bassista Jeff Ament e il chitarrista Stone Gossard, questi ultimi due destinati a fondare i Pearl Jam su basi non dissimili da quelle dei Mother Love Bone.
L’ascolto del primo CD, che raccoglie le canzoni di “Apple” e “Shine”, testimonia il talento del gruppo e ci ricorda che esisteva un’altra Seattle, diversa da quella grunge propagandata dalla Sub Pop: più Queen, Cheap Trick, Kiss che Stooges, Motörhead, Sonic Youth.
Per utilizzare riferimenti contemporanei: più Guns n’ Roses che Nirvana. Ci rammenta, pure, quanto i primissimi Pearl Jam dovessero ai Mother Love Bone. Riff, passaggi strumentali, forza muscolare di alcune performance degli uni e degli altri portano chiaramente il marchio di Gossard e Ament. Il fonte delle tracce rare e inedite è ricco e variegato: ci sono semplici divertissement, outtake registrate dal vivo ai Plant Studios per “Shine”, brani dai demo con Jack Endino, pezzi dalla preproduzione di “Apple”, canzoni abbozzate in cui il cantante pare scimmiottare ora Robert Plant, ora Axl Rose. Sia chiaro: non sono pezzi fondamentali, alcuni sono decisamente minori, mostrano un gruppo in cerca della propria identità, ma per essere gli scarti di una band finita ancor prima di pubblicare un vero album, la qualità (anche sonora) è mediamente buona.
A volte ci sono più energia e convinzione che scrittura e originalità, ed è normale. Ci sono provini per voce e chitarra, pezzi dai quali emerge lo spirito cantautorale di Wood, riff che preconizzano le prime cose dei Pearl Jam e c’è la cover degli Argent “Hold you head up” che finì chissà come nei bootleg delle prime incisioni in studio dei Mookie Blaylock. È strano trovare come ultima traccia, decisamente estranea alle altre, la versione di “Stardog champion” suonata nel settembre 2011 dai Pearl Jam per il proprio ventennale, con ospite Chris Cornell che con Wood aveva diviso un appartamento e un pezzo di strada. Il DVD contiene il documentario “The love bone earth affair” già pubblicato in vhs, il video di “Captain hi top”, le esecuzioni dal vivo di “Half ass monkey boy” e I’m in love with my car” all’Oz di Seattle. Il cofanetto, che contiene un libretto di 24 pagine, è disponibile anche su vinile.
Si sa com’è andata a finire: un’overdose ha portato via Andy Wood nel marzo 1990, pochi mesi prima dell’uscita di “Apple”.
Per Cornell fu “la perdita dell’innocenza per la scena” e lasciò in Gossard e Ament un vuoto colmato, musicalmente parlando, con i Pearl Jam e i Temple of the Dog. E anche se i Mother Love Bone oggi sono una nota a piè pagina della storia del rock, un gruppo che forse non ha potuto esprimere pienamente il proprio potenziale, il piccolo culto che li circonda rappresenta una consolazione per com’è andata a finire la storia di Wood. L’energia, lo spirito, l’immaginazione di queste incisioni inducono al sorriso e invitano a fare un po’ di headbanging vecchio stile. È materia viva, strappata all’oblio.
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