Subito dopo aver fatto partire “Across the ocean” ho stoppato tutto e sono andato a recuperare “Silent carnival”, il primo album di Marco Giambrone (ex Marlowe e Nazarin), titolare unico del marchio Silent Carnival. Perché, se da una parte mi sono sentito in dovere di fare le cose per bene, documentandomi a modo, dall’altra ho trovato immediatamente una connessione più personale con il suo modo di fare musica; da amante del dark folk quale sono, trovarmi ad avere a che fare con un disco come “Drowning at low tide” non ha potuto che risvegliare il fan che è in me. Si sta parlando di un ottimo disco, cupo, complesso, ottimamente confezionato sia nella forma sia nel contenuto. Un lavoro rispettoso nei confronti di un genere, un dark/neofolk che Giambrone oramai sa padroneggiare con una certa eleganza, ma in grado di prendersi alcune libertà più esplicitamente psichedeliche e wave che chiamano in causa i Pink Floyd (“A place”) tanto quanto Wovenhand di Edwards e i Coil (“Last dream of a tree”), rendendo il tutto più affascinante. Composto tra l’autunno del 2014 e l’estate del 2015, prodotto (ottimamente), registrato e mixato da Carlo Natoli al Phantasma Recording Studio di Ragusa e masterizzato da Giovanni Versari a La Maestà di Tredozio, il secondo Lost Carnival si avvale della partecipazione di alcuni nomi che vanno necessariamente citati in sede di recensione: Carla Bozulich (“Flood”), John Eichenseer (“Sick”), Andrea Serrapiglio (“Last dream of a tree”) e Matteo Uggeri (“Downfall”).
Per gli amanti di Blood Axis, Current 93, Sol Invictus e compagni, “Drowning at low tide” è il disco giusto al momento giusto. Calendario alla mano, l’inverno è alle porte e ogni stagione chiama la sua musica; quest’anno sembra essere piuttosto buona.