Biffy Clyro - ELLIPSIS - la recensione

Recensione del 12 lug 2016 a cura di Andrea Valentini

Voto 7/10

I Biffy Clyri – dopo l’esperimento più che riuscito del doppio concept album del 2013 (“Opposites”, un disco che ha portato loro il primato nelle classifiche britanniche e una serie di ingaggi da headliner in tutto il mondo) – tornano con un lavoro più “regolare” a livello di formato, ma con l’imperativo categorico di non fare passi indietro, dopo il successo di quanto proposto tre anni fa. Una sfida non da poco, per gli alternative rocker di Kilmarnock: Simon Neil, James Johnston e Ben Johnston hanno scelto di affrontarla cercando di manovrare in sicurezza, ma concedendosi un certo spazio per tentare di sperimentare e spiazzare.

In poche parole, “Ellipsis” è una creatura ibrida, che sviluppa i selling point e gli aspetti più commerciali del loro sound a base di arena rock e pop rock da cantare, ma al contempo li contamina con elementi di elettronica (“Re-arrange”), post hardcore (“On A Bang”), hip-hop, country (“Small Wishes”), indie pop, electro rock (“Friends And Enemies”), reggae (“Don’t, Won’t, Can’t”) e funk (“Flammable’”) – soprattutto grazie al lavoro del produttore Rich Costey, scelto al posto del collaboratore di vecchia data Garth Richardson. L’idea iniziale, come la band aveva spiegato in fase di preparazione del disco, era quella di “farlo suonare nel modo più incasinato e strano possibile”: e, in effetti, la tensione verso questo obiettivo è palpabile – solo che (e non è necessariamente un male), il risultato è una serie di canzoni di matrice pop/rock solide e melodiche, facili da assimilare, in cui il bizzarro è più un retrogusto che non un ingrediente sostanziale.

L’effetto di “Ellipsis” è quello di un caleidoscopio sonico, in cui non esiste una struttura di fondo, un’impalcatura, che regoli il fluire dei brani, che – piuttosto – sono invece entità a se stanti, monadi musicali autosufficienti e potenzialmente selezionabili come singoli, in modo intercambiabile. Già, perché ogni pezzo ha una parte almeno che cattura l’attenzione e invita al famoso “singalong”, un elemento che per una band che calca stadi e arene è come il tocco di Re Mida: trasforma in oro le canzoni.
In questa bella sbornia di eclettismo in salsa pop rock, non mancano anche episodi più rabbiosi e “in your face”, come direbbero gli anglosassoni: ad esempio la bella “Animal Style”, un rock energico, deliziosamente tamarro e contagioso. Però, nell’economia globale, sono proprio un filo di incazzatura e di piglio “hard” a mancare – soprattutto alla luce del fatto che la band ha definito il disco come “fight rock” e “pint-in-the-face rock”… insomma, l’esuberanza rock pare piuttosto addomesticata, al servizio di una paletta espressiva più pop – se proprio si vuole far le pulci al disco.

Nel complesso, dunque, si tratta di una bella prova, che sicuramente cementerà il successo dei Biffy Clyro – che si confermano ancora in palla e con una buona riserva di munizioni da sparare.

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