Jack Garratt non è un artista elettronico, non è un cantautore tradizionale, non è un chitarrista rock, non è un melodista pop. Eppure tutte queste identità convivono armoniosamente nella sua musica, senza dare l’impressione d’essere assemblate in modo forzato. Detto in breve: è un songwriter di stampo tradizionale che immerge le canzoni in paesaggi sonori digitali. “Amo manipolare gli stili”, ha detto a Rockol , “decostruirli e renderli irrilevanti”. È bravissimo nel creare un mondo attorno alle sue canzoni ed è pure in grado di scrivere pezzi di grande impatto, come dimostrano il singolo “Worry” e “Weathered” con il suo crescendo ipersentimentale, composizioni che reggerebbero con qualunque arrangiamento. Abituato a pensare la musica in perfetta solitudine, è autore, performer, arrangiatore, produttore di quasi ogni nota suonata nell’album, e del resto pur avendo solo 24 anni d’età ha una lunga storia alle spalle. È anche un chitarrista di formazione rock-blues, e la cosa emerge solo dal vivo, ad esempio nella coda della versione del singolo “Worry” registrata
L’album funziona soprattutto quando Jack Garratt dà un suono alle sue inquietudini, nei momenti in cui esplora le sue ossessioni, e certamente testi più efficaci avrebbero nobilitato un disco con pochi riempitivi, tipicamente quelli in cui l’influenza EDM si fa pacchiana e distrugge l’equilibrio fragile fra cantautorato confessionale e manipolazione digitale su cui si regge l’intero lavoro. Funziona pure quando l’inglese si mette a fare il cantautore intimista, sedendosi alla tastiera e cantando con trasporto drammatico “My house is your home” in un’incisione che chiude l’album in un’atmosfera casalinga, fra accordi “blue” e lo scricchiolio dello sgabello del pianoforte. Fra l’ipotesi di incidere un disco cupo e “artistico” e uno di facile consumo, l’inglese ha scelto una via di mezzo che per il pop mainstream del 2016 suona come una novità degna di nota. È musica come percorso catartico, piena di saliscendi emotivi, momenti di suspense e melodie orecchiabili. È un buon inizio.