Leftfield - RHYTHM AND STEALTH - la recensione
Recensione del 16 ott 1999
Ci sono voluti ben cinque anni a Leftfield per arrivare a incidere questo loro secondo album. Cinque anni in cui si è passati, soprattutto nell’ambito della musica elettronica (dove si muovono Leftfield) attraverso infinite mutazioni. Drum’n’bass, big beat, speed garage sono solo alcune delle più “glam”. Ai Leftfield però tutti questi suoni “in divenire” non sembrano essere interessati più di tanto. Già, perché Neil Barnes e Paul Daley (in arte Leftfield), dalle lontane galassie del “sound per il leftfield”, ovvero per quella zona temporaneamente autonoma in cui non si pensa a ballare ma piuttosto si ascolta la musica presunta “da ballo”, non sembrano essere stati scalfiti da nulla in particolare che sia emerso in questi ultimi cinque anni. Impermeabili alle mutazioni dell’elettronica, hanno mantenuto immutato il loro amore per il dub (vettore sonoro principale attorno a cui si sviluppano molti brani di “Rhythm and stealth”), sviluppando, allo stesso tempo, un discorso musicale preciso che porta Leftfield verso una forma ipotetica di musica elettronica da “moderni primitivi”. Barnes e Daley infatti, nell’arco di molti dei 10 brani inclusi in “Rhythm and stealth” creano una fusione quasi sempre azzeccata tra suoni digitali, ad alto tasso di tecnologia e un flusso ritmico che fa pensare a un nuovo tribalismo, a una corteccia “primitivista” con cui affrontare il 2000. E’ un contrasto che troviamo sviscerato al meglio in “Phat planet” (il brano più riuscito dell’album), ma che percorre in lungo e in largo anche “Afrika shox” (un nuovo classico dell’electro hip hop, pensato, non a caso, in combutta con Afrika Bambaataa, e sviluppato seguendo questa estetica robotico-primitiva) e “Double flash” (techno tribale che rimanda a rave organizzati da modern primitives fatti d’ecstasy). Se a questo ci si aggiunge l’incedere ipnotico del dub di molti altri brani (su tutti quello di “Rino’s prayer, scritto con Raiss di Almamegretta), si capisce quanto Leftfield, lontano dal clamore dei big beats, ancora una volta abbiano dettato, nel “leftfield” la loro legge: una legge magicamente in bilico tra passato e presente, ideale colonna sonora per introdurci al futuro.