di Gianni Sibilla
Come si sopravvive all’
Ma gli inglesi, si sa, sono strani. E così le prime recensionidisco hanno criticato il terzetto, se non apertamente massacrato l’album (un sonoro 4 dall’NME). C’è chi si è attaccato al fatto che Olly Alexander (voce e piano) è un attore oltre che un cantante. Ma più in generale, la critica che viene fatta è: “dove sarebbe la novità?”.
Fatta la tara sulle ossessioni e sui meccanismi d’oltremanica (dove si crea l’hype solo per smontarlo poco dopo), “Communion” è un buon disco di pop contemporaneo, nulla più, nulla meno. A differenza di tanto pop elettronico di successo degli ultimi tempi (Disclosure e Clean Bandit, per citare due nomi), gli Years & Years sono un gruppo vero, non musicisti con vocalist a turno. E si sente: la voce di Alexander è espressiva, malinconica il giusto per contrastare i ritmi solari dell’elettronica. Il che conferisce alle canzoni del trio un doppio-fondo, le rende piacevoli ma non sdolcinate.
Certo, “King” è una canzone radiofonicamente perfetta, anche se indugia un po’ troppo in “ooooh” e in autotune (almeno per i miei gusti). Ma per fortuna è più l’eccezione che non la regola: le canzoni più interessanti sono quelle cpmme “Eyes shut”, meno aperte (ovvero meno piacione), un po’ più maliconiche e meno scontate.
Detto questo: gli Years & Years le canzoni le sanno scrivere e le sanno confezionare. Fanno qualcosa di nuovo? Non proprio. Lo fanno bene? Abbastanza. Avranno successo: sì. Perché alla fine, quello che conta è avere buone canzoni, alla faccia dell’hype.