Chris Cornell - EUPHORIA MORNING - la recensione

Recensione del 26 set 1999

Ok, lasciamo andare per un attimo la stima spropositata (e forse a tratti anche sproporzionata) nutrita per i suoi Soundgarden, e non lasciamoci neanche depistare dal suo splendido aspetto, quasi un Brad Pitt toccato da qualche oscura maledizione, sguardo tagliente, capello corto e canotta selvaggia. Dal suo disco, comunque, ci saremmo aspettati di più. Lungamente e giustamente atteso, “Euphoria morning” si presenta invece come un album discontinuo, in cui soltanto un ascolto approfondito e continuo riesce a cavare fuori qualche ragno dal buco. Quella di Chris Cornell non è certo la visione musicale dei Soundgaren o almeno non lo è a tutto tondo: di quel gruppo il cantante ha spesso firmato i momenti più ‘pop’, influenzati da una lunga frequentazione dei Beatles e di altre amenità (una per tutte, i Queen) che fanno generosamente capolino anche da dietro le quinte di questo album. Il risultato è francamente dubbio: se non si possono non apprezzare alcuni momenti fiammeggianti e sporchi come il singolo “Can’t change me” o una ballad in stile soul come “When I’m down”, non si può non rimanere interdetti di fronte ad episodi un po’ meno riusciti (“Steel rain” e la title-.track), a volte sin troppo evocativi e spesso senza infamia né lode sul versante della composizione. Insomma, “Euphoria morning” – realizzato a Los Angeles con la co-produzione di Alain Johannes e Natasha Shneider, entrambi già al fianco di Cornell per la colonna sonora di “Great expectations” – è un disco che tende a distrarsi e a distrarre, e anche a farsi vagamente dimenticare. Una citazione per “Wave goodbye”, brano dedicato a Jeff Buckley e scritto in occasione del suo servizio funebre, canzone emozionante e trasversale, nello stile in cui Cornell è solito raccontare le cose. Forse è proprio questo approccio obliquo che farà piacere ai suoi estimatori di lunga data, e che quindi lo conoscono bene: per gli altri potrebbe trattarsi di un’esperienza non altrettanto gustosa. Un’ultima cosa: la versione in francese di “Can’t change me” che chiude l’album, serve a poter passare il pezzo in Francia senza incappare nelle maglie del proibizionismo radiofonico ai danni della musica straniera. Poi parlano di Europa unita…

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