In attesa di scoprire come si evolverà il discorso con "Day for night", l’altro album in lavorazione e previsto per il 2015 inoltrato, gli Smashing Pumpkins danno alle stampe un episodio unico e imprevisto della “loro” carriera: solo 35 minuti scarsi di musica. Un disco dritto, essenziale e quindi un unicum in una discografia fatta di ambizione infinita e pretese a tratti ultraterrene. A conti fatti "Monuments to an elegy", almeno nella forma, è equiparabile alla svolta di "Backspacer" dei Pearl Jam, altra gente che non è mai venuta a capo della fine degli anni ‘70. Perché in effetti sì, un disco che vive attorno a “sole” nove canzoni è, anche ufficialmente (vedi svariate interviste di Corgan), il tentativo di tornare a quell’era in cui gli LP erano principalmente (ma non solo) questioni che si risolvevano ben prima dell’ora di musica. Quello che conta, comunque, è che "Monuments to an elegy" funzioni e lo faccia senza rimanere mortalmente e colpevolmente ancorato a chissà quale passato della band di "1979", "Cherub rock" o, figurarsi, "Ava adore".
Decisamente più interessanti le soluzioni di "Anais!", con un giro di basso che a tratti ricorda i sapori di "Gish" e un’interpretazione vocale fuori dal comune per il frontman di Chicago, e dell’ottima "Drum + Fife", che riesce in quattro minuti a scovare nuovi panorami sonori e a infilare in un certo senso quella epica tipica di altri viaggi, dall’estensione assai più generosa, degli Smashing Pumpkins. "Monuments" riprende ancora e con successo una linea di basso potente e calda, accoppiandola a chitarre chiassose ed esuberanti, frutto di una collaborazione ormai consolidata tra Corgan e Schroeder. Che il tutto venga introdotto e puntellato dall’urlo felpato del solito sintetizzatore è il segno che "Adore" e soprattutto "TheFutureEmbrace" (2005) non siano stati catalogati come errori di percorso dal tizio alto che non le manda a dire. Sopra e dietro a tutto si fonde la “nuova” batteria di Tommy Lee (Mötley Crüe), potente e precisa quanto umile e intelligente nell’adattarsi agli scenari musicali degli Smashing Pumpkins. Ma sì, naturale, Chamberlin rimane un’altra cosa… eppure dovremmo anche smetterla di dirlo a un certo punto.
Per essere un disco compatto e incapace di perdersi in divagazioni, nel bene e nel male, "Monuments to an elegy" mostra una ricchezza di rimandi davvero imprevedibile. Non solo andando a recuperare svariati periodi degli Smashing Pumpkins, ma anche giocherellando con la new wave primi anni ‘80 di Cure o Depeche Mode (Dorian) e senza vergognarsi di mettere in piedi un esaltante episodio conclusivo davvero seventies, leccatissimo (e splendidamente paraculo) come "Anti-Hero".
Non il capolavoro che segna una svolta, ma un disco davvero godibile, limato e rifinito probabilmente molto più degli altri lavori in studio degli Smashing Pumpkins. E il segnale innegabile che la voglia di fare e di studiare e di suonare non sia ancora venuta meno.