Take That - III - la recensione

Recensione del 02 dic 2014 a cura di Pop Topoi

Voto 6/10
La storia dei Take That non ha bisogno di essere ripassata, ma ecco un fatto interessante: i Take That della reunion sono diventati più longevi dei Take That originali. Sei anni contro nove, tre album contro quattro. L'ultimo singolo è arrivato alla numero uno nel Regno Unito domenica scorsa, l'album in questione è il più prenotato nella storia di Amazon UK e il gruppo ha stretto un accordo con Google Play per l'esclusiva streaming. Se non fossero così in salute commercialmente, non sarebbero rimasti incastrati in scandali di elusione fiscale.

Tuttavia, "III" marca l'inizio di un nuovo ciclo: Robbie Williams, dopo essere rientrato per un album e un mega-tour, è tornato a occuparsi della sua carriera solista (e proprio in questi giorni pubblica a sorpresa tramite il suo sito ufficiale una raccolta di b-side: una mossa strategica perfetta per far tornare a parlare di complotti e rivalità); Jason Orange ha lasciato il gruppo, in cui è sempre stato considerato perlopiù un ballerino (in realtà non era nemmeno un pessimo vocalist, ma la Storia ha scelto per lui un ruolo diverso, e a 44 anni è lecito stancarsi).



L'album è prodotto principalmente da due dei nomi dietro al pop più brillante degli ultimi anni: Greg Kurstin e Stuart Price. Quest'ultimo torna dopo la collaborazione nel precedente "Progress", ma il risultato è meno cupo e aggressivo e più euforico. Soprattutto nella prima metà ("Let it in the sun", "Lovelife"), i Take That sembrano volersi posizionare da qualche parte tra Avicii e Coldplay, con pezzi già pensati per rendere al massimo in tour.

Molto spesso, il meglio dei Take That è uscito dalla contrapposizione tra lo yin di WIlliams e lo yang di Barlow, ma Owen, pur non potendo rimpiazzare il carisma dell'ex collega, in "Progress" aveva provato di sapere gestire benissimo anche suoni e tematiche più tetri (era co-autore e voce principale di quella che definirei "la trilogia della paranoia" del disco precedente: "Kidz", "SOS", "Love love"). Qui quel lato di Owen purtroppo non emerge e i suoi momenti da solista ("Into the wild", "Lovelife") sono annebbiati da un'EDM versione light che non gli rende giustizia. Questa volta i synth minacciosi sono tutti di Barlow ("I like it"), così come le trovate di produzione più originali (i campionamenti della riuscitissima "Higher than higher") e le immancabili ballate. A Donald non resta che un brano, ma è anche il più inusuale: "Give you my love" è un misurato esperimento in bilico tra elettronica minimale e il primo Justin Timberlake, e sarebbe stato interessante sentirne altri.
In un certo senso, "III" è un album di Barlow contenente un EP di Owen e una comparsata di Donald, ma poco importa. "Let me entertain you", diceva quell'altro, e con "III" i Take That continuano a fare grande intrattenimento.

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