Questo lungo cappello è per dire che anche quest'ultimo lavoro dei Roots si pone sulla stessa linea di pensiero del suo leader, allontanandosi ancora una volta dalla classica produzione hip-hop. Se il precedente “Undun” era un vero e proprio concept album questo “… And Then You Shoot Your Cousin” è più una raccolta di storie di degrado e violenza raccontati da vari personaggi.
Con questo disco l'hip-hop assume una forma nuova, lontana da quell'insieme di stereotipi tra gangsta e product placement di luxury brand che è diventato in gran parte, magari non proprio la “CNN del ghetto” come l'aveva efficacemente definita Chuck D negli anni '90, ma più un reportage d'autore di quelli che si trovano in qualche festival del cinema (non a caso l'apertura di Nina Simone suona molto da opening title).
E in questo sta il pregio e, in parte, il limite di “… And Then You Shoot Your Cousin”.
Non è un disco di facile ascolto: cupo, dark e volutamente frammentato, dove il rapper Black Thought, che sfoggia una voce ancora più matura e gutturale, si mette in secondo piano per far spazio ai vari ospiti (Dice Raw, Patty Crash, Raheem DeVaughn) nella parte dei vari personaggi presi dalla strada.
La musica, magistralmente suonata dalla band, pesca a piene mani dal soul e funk anni 70 (viene addirittura preso a prestito “Yeah, yeah” dei Blackrock, in “Black rock” appunto, uno dei pezzi più duri ed efficaci del disco): si passa dalle tinte scure, quasi trip-hop acustico, di “Never”, agli accompagnamenti più soul e leggeri di Understand ma sempre con testi di rassegnato pessimismo (“People ask for God, ’till the day he comes / See God’s face, turn around and run”), pezzi basati su sinistre linee di piano in minore (“The Unraveling”) e orchestrazioni jazz dissonanti (“The Dark (Trinity)”) .