SZA - Z - la recensione

Recensione del 01 mag 2014 a cura di Michele Boroni

Voto 7/10
Sarebbe un peccato sottovalutare queste piccole realtà dell'hip-hop (collettivi, piccole etichette, posse) che si stanno sviluppando specialmente nella costa ovest del continente americano. E sarebbe altresì superficiale relegarle al solo ambito del genere, perché in realtà si stanno muovendo anche in altre direzioni attraverso tentativi - spesso riusciti, altre volte meno – di tracciare nuove strade nel territorio del pop e del neo-soul, sperimentando percorsi non propriamente commerciali, ma innestando una nuova poetica, il più delle volte malinconica e dalla forte tensione emotiva.

E' successo magistralmente in casa Odd Future (l'etichetta di Tyler the Creator e Earl Sweatshirt) con Frank Ocean, fin dal suo mixtape “Novacane” e il capolavoro “Channel Orange” ma anche con il progetto The Internet. Ci provano ora i tipi della TDE (Top Dawg Ent.) forti dei loro successi di Kendrick Lamar e Schoolboy Q con il primo disco di SZA, tag di Solana Rowe, nata a St. Louis, Missouri ma cresciuta nel New Jersey, strana creatura lentigginosa che si definisce “non umana, ma fatta di pancetta, favole e polvere di stelle”, cresciuta a Miles Davis e Ella Fitzgerald e che oggi è ispirata da Beirut, Bjork, Sade e Animal Collective.
E' difficile etichettare questo suo esordio, tra elettro-pop (la stilosa“Julia” prodotto dai Toro Y Moi) e beats narcotizzato (nell'iniziale“Ur” prodotto da Mac Miller), rock-soul (“Sweet November” dove SZA canta sullo strumentale “Mandota” di Marvin Gaye, che quindi risulta tra i produttori del disco) e white pop (la bella “Shattered Ring”). Quindi in parte l'obiettivo è raggiunto. Durante tutto il disco Solana ci tiene a sottolineare il suo essere una mosca bianca, a non volersi omologare al mainstream (“Crucify me” canta in “Babylon”), e questa insistenza egoriferita un po' weirdo senza mettere completamente a fuoco la propria identità musicale è forse il lato debole del disco.

Ed è un peccato perché “Z” contiene idee (come in “Child's Play” in cui si immedesima in Skipper, la sorella sfigata di Barbie), belle atmosfere e anche una manciata di belle canzoni. Oltre a quelle già citate c'è da segnalare “Babylon” con Kendrick Lamar, forse il pezzo più interessante dell'intero disco. Probabilmente il punto di contatto con il mondo hip-hop sta proprio nella composizione dei testi, spesso surreali ed ermetici, volti più che altro a creare una suggestione sonora. Infine c'è la voce di SZA: calda, avvolgente, ma sempre un po' distante e poco appariscente.
Insomma, la ragazza va tenuta d'occhio, come pure i progetti laterali delle etichette hip-hop che, silenziosamente, stanno spostando la direzione del pop.

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