Cage The Elephant - MELOPHOBIA - la recensione

Recensione del 14 nov 2013 a cura di Marco Jeannin

Voto 7/10
E’ strano che dei Cage The Elephant si parli così poco, per lo meno dalle nostre parti. Fuori dal giro degli addetti ai lavori, o comunque degli appassionati, il loro nome non circola molto. Negli Stati Uniti e in Inghilterra, come sempre, è tutto un altro discorso: lì i ragazzi del Kentucky sono arcinoti. Da noi invece no, o comunque molto, molto meno che in patria. Chissà poi perché... Ci riflettevo in questi giorni: i Cage The Elephant le qualità per emergere le hanno tutte. Si parla un gran bene dei loro concerti (iper adrenalinici), sanno scrivere singoli dall’alto potenziale radiofonico e hanno fatto dischi molto buoni, due già fuori da un po’ (2008 e 2011) e uno nuovo che, addirittura, già si pone come punto di svolta nella loro breve ma intensa carriera. Eppure in Italia rimangono un po’ un mistero. Tipo i
Biffy Clyro : fuori vendono a quintali e si prendono Glastonbury (per i Cage The Elephant vale Coachella) da protagonisti, da noi iniziano a venire fuori adesso, pacatamente.

Questo nuovo “Melophobia” conta dieci pezzi per un totale di trentasette minuti. E’ un disco molto diretto, facilmente fruibile e davvero piacevole. Rispetto ai primi due lavori in cui i Cage The Elephant ci mettevano tanta irruenza e giocavano un po’ a fare i Pixies e i Sonic Youth , “Melophobia” è un’opera molto più riflessiva. Meno alt e più pop; più melodie, più Beatles , Arctic Monkeys e Smith Westerns . Che si stesse per intraprendere questo cammino già lo potevamo intuire dai sette minuti e quaranta di “Flow”, traccia di chiusura del precedente “Thank you, happy birthday”, chicca psycho brit di ottimo livello. Da qui si riparte: “Melophobia” significa paura della musica. Ecco, più che paura della musica, la melophobia dei Cage The Elephant e la paura di fare musica troppo riconducibile a qualcuno che non sia i Cage The Elephant stessi. Che, tradotto, significa che questi dieci pezzi sono il primo tentativo della band di venire fuori per quello che è. Sono passati cinque anni dalla pubblicazione del primo album, sette dalla formazione del gruppo. Gavetta finita, tempo di maturità. “Melophobia” è il disco perfetto per sdoganare definitivamente i Cage The Elephant al cosiddetto grande pubblico. E se la cosa funzionerà, un po’ del merito sarà dei
Muse .



Perché dei Muse? Perché i Cage The Elephant hanno fatto da spalla proprio ai Muse durante l’ultimo tour. Qui hanno imparato cosa significa stadium rock, cosa sono i ritornelli: lezione applicata immediatamente una volta entrati in studio. “Spiderhead” è una traccia d’apertura perfetta, un pezzo che più Arctic Monkeys non si può. “Come a little closer” pure, con la differenza che qui stiamo parlando di un bel singolo con il primo dei tanti ritornelli killer, facile e bello da cantare, mentre “Telescope” gioca la carta ballata. Un incipit quantomeno significativo. La voce del navigatore attaccato al parabrezza parla chiaro: “La rotta è impostata, proseguire per altri sette pezzi”. “It’s just forever” gode della partecipazione di Alison Mosshart, che, in vacanza dai Kills (e dai Dead Weather ), qui si diverte a fare la vamp su un pezzo vintage pop che piacerà molto a
Lykke Li . In “Take it or leave it” spuntano tracce di Maccabees sul fondo, mentre la scena è tutta per un ritornello alla Babyshambles . Molto inglese. Idem “Halo”, un po’ più Strokes , mentre “Black widow” si avvale di un arrangiamento bello corposo, con fiati, falsetto e tutto, per un mood di nuovo un bel po’ retrò. “Hypocrite” si conquista il gradino più alto del podio sfoderando un indie a presa rapida ed essenziale; ottimo, di nuovo, il ritornello (da chiodo fisso) e bella la melodia. “Teeth” è probabilmente il pezzo più vecchio stile del lotto, sghembo e aggressivo quanto basta per mettere in grande risalto “Cigarette daydreams”, che, per chi a questo punto non ci fosse ancora arrivato, certifica definitivamente il nuovo ciclo “british” dei Cage The Elephant.

La melophobia è la paura di fare musica che sembri quella di qualcun altro. Se la scelta del titolo era volta ad esorcizzare la paura stessa, ecco, forse in questo senso i Cage The Elephant hanno toppato alla grande, perché il loro “Melophobia”, come abbiamo visto, è esattamente un disco che suona tutto fuorché originale. Questo non toglie che sia un disco che si fa ascoltare più che volentieri. Il disco che magari farà conoscere i Cage The Elephant anche da noi.

Vai alle recensioni di Rockol

rockol.it

Rockol.com s.r.l. - P.IVA: 12954150152
© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Privacy policy

Rock Online Italia è una testata registrata presso il Tribunale di Milano: Aut. n° 33 del 22 gennaio 1996