Fleetwood Mac - SHRINE '69 - la recensione

Recensione del 05 ago 1999

E' il 25 gennaio 1969 quando i Fleetwood Mac sono in cartellone prima di Frank Zappa and the Mothers of Invention allo Shrine Auditorium di Los Angeles. A San Francisco si sta già pensando all'estate dell'amore, Woodstock arriverà tra qualche mese e prima della fine dell'anno del rock'n'roll resteranno soltanto le briciole lasciate dai Rolling Stones ad Altamont. In tanti eventi destinati ad assumere significati epocali, i tre quarti d'ora dei Fleetwood Mac che aprono per Frank Zappa possono sembrare un caso minore, ma ascoltando “Shrine '69” si capisce che non è così. All'epoca, e soprattutto grazie alla visionaria chitarra di Peter Green (basta ascoltarla in “If you be my baby” per farsene un'idea) i Fleetwood Mac stavano architettando una versione di blues e rock'n'roll assolutamente fuori da ogni schema. “Shrine '69” ne è un ottimo esempio (un altro potrebbe essere il “Live at the BBC” di qualche tempo fa) anche perché riporta fedelmente il concerto in tutti i suoi dettagli. Splendido blues venato di psichedelia, Peter Green inarrivabile e una versione deragliante di “Great balls of fire”. Un po' del merito di “Shrine '69” va anche a Dinky Dawson, il roadie che ha custodito i nastri necessari alla sua realizzazione. Di lui Mick Fleetwood ha detto: "Nel pazzo mondo del rock'n'roll non è facile, credetemi. Il suo talento come fonico era un vero dono divino e lui è sempre stato lì, con i Fleetwood Mac, ma anche con i Byrds, i Kinks, Lou Reed. Per questo credo che la sua sia una delle carriere più straordinarie della storia del rock'n'roll degli ultimi trent'anni". Per una volta, un omaggio anche a chi lavora dietro le quinte.


“Tune up”
“If you be my baby”
“Something inside of me”
“My sweet baby”
“Albatross”
“Before the beginning”
“Rollin' man”
“Lemon squeezer”
“Need your love so bad”
“Great balls of fire”

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