Scorrendo la tracklist, si trovano almeno una decina di potenziali singoli altrettanto efficaci perché Katy Perry e i suoi collaboratori (non vale nemmeno la pena di citarli, tanto sono gli stessi che trovate in ogni disco pop degli ultimi dieci anni) sanno costruire un brano per ogni situazione: "Birthday" e "This is how we do" sembrano fatte apposta per diventare inni per feste e addii al nubilato molto ignoranti, mentre le ballate si dividono tra le dichiarazioni d'amore incondizionato ("Unconditionally", "Double rainbow") e i dolori della giovane divorziata ("Ghost", "By the grace of God"). L'universalità dei testi (più personali rispetto a "Teenage dream", ma ancora molto generici) va di pari passo con scelte musicali mai sorprendenti, fatte apposta per sedurre le radio e trapanare il cervello: non vi resterà in testa un ritornello o una canzone, ma l'intero album.
Le uniche tracce nelle quali non si può dire che Katy Perry abbia preso la strada più ovvia sono i primi due singoli promozionali "Walking on air" e "Dark horse": la prima viene direttamente da una compilation del Festivalbar di metà anni '90; la seconda, d'ispirazione grime e con l'inevitabile presenza di un rapper mediamente noto, è il brano più oscuro e potente dell'album "Dark horse" dimostra che la cantante potrebbe esplorare altri generi senza perdere posti in classifica, ma con "Prism" vuole vincere facile. E quando un album di inediti dopo solo un paio di ascolti suona come il greatest hits di una carriera pluridecennale, bisogna arrendersi: Katy Perry ha stravinto.