Persino le due canzoni più aspre del disco suonano in finale come un sereno punto e a capo; ci riferiamo a "Ultima chance" e a "Spia polacca", nelle quali Bersani si libera di qualche fardello di troppo: "Tu hai la mia pietà per l'odio che ti ha nutrito di bugie, io ti perdono anche in nome di una mia grande libertà". Ed è proprio alla sua grande libertà che dobbiamo questo ottavo disco, lo si capisce dalle scelte fatte: in primis la volontà di raccontarci intimamente la sua nuova storia sentimentale nel singolo "En e Xanax" ("En e Xanax si tranquillizzavano con le loro lingue al gusto di medicina amara [...] lui la ritrovava nuda sulla sedia e poi sovrapponevano il battito cardiaco"), in secondo luogo la decisione di lavorare a scrittura, arrangiamenti e produzione in autonomia (senza filtri dunque), e infine l'aver scelto ancora una volta la - ormai vuota - sala d'incisione di Lucio Dalla a Bologna, la prima senza il suo mentore, che vuol dire altra grande emozione presa di petto. È lì che sono nate in cinque mesi le nuove dieci canzoni, poi missate negli studi milanesi di Vinicio Capossela, ed è ovunque che Bersani spera di portarle presto, perché "Nuvola numero nove" è stato concepito per essere suonato dal vivo. Per questo - immaginiamo - sono stati scelti molti strumenti veri e minimi campionamenti, in modo da riportare fedelmente le canzoni dal disco al palco. Non passa inosservata, poi, la consueta ricerca melodica, sempre accattivante, ma meno ricca di repentini cambi di ritmo rispetto al precedente disco del 2009 ("Manifesto abusivo") - e quindi più facile all'ascolto -, cui si aggiunge una grande cura messa nella produzione.
Il risultato sono dieci canzoni che vi consigliamo di ascoltare, a partire dalla colorata "Complimenti", passando per la trascinante "Il re muore", fino alla pungente "Chiamami Napoleone", sprezzante fotografia di una contemporaneità piena di difetti ("questo stivale ridotto a pantofola"). E, se amate il soul blues, non dimenticate "Settimo cielo", certamente il pezzo più sperimentale dell'album. Chiudiamo citando alcuni giovani artisti che Bersani ha conosciuto attraverso il web e dalla cui collaborazione sono nate la sferzante "Spia polacca" (Gaetano Civello), l'anglosassone "Desirée" (Gregorio Salce e Matteo Fortuni) e la già citata "Il re muore" (Egokid). E anche se, nel caso di un disco di Bersani, suona scontato dire che è molto originale, va comunque detto, perché il non somigliare mai a nessuno - neanche a se stesso - è una sua dote e un nostro privilegio, dal quale vogliamo continuare a trarre stupore.