Mayer Hawthorne - WHERE DOES THIS DOOR GO - la recensione

Recensione del 12 ago 2013 a cura di Michele Boroni

Voto 7/10
Mayer Hawthorne è un simpatico ragazzotto del Michigan noto ai più per il suo straordinario esordio retro-soul del 2009 (“A strange arrangement”). Il nostro ha continuato in questi anni tra compilation mixati di perle soul a 45 giri degli anni 60, ep di cover di pezzi anni 80-90 e un altro disco solista (“How do you do?”) in cui si allontanava gradualmente dal soul Motown e Stax per incrociare uno stile più personale, anche se sempre debitore del passato.

In questo nuovo lavoro le intenzioni del buon Mayer si fanno molto più chiare. Il suo nuovo riferimento è il blue eyed soul o quelli che molti chiamano (non senza un certo malcelato disprezzo) lo yacht rock - ovvero quel rock soul funk bianco, maturo e sofisticato portato al successo da band come Steely Dan, Doobie Brothers, Hall & Oates e Boz Scaggs (peraltro tornato prepotentemente di moda) – miscelato con elementi di R&B e un'infarinatura di hip-hop che lo rendono contemporaneo.
E' paradossale che per il disco più personale Hawthorne abbia abbandonato la sedia del produttore per cederlo a una serie di nomi di prestigio quali Jack Splash (Kendrick Lamar, John Legend), Greg Walls (Adele), John Hill (Santigold) e il prezzemolino di quest'estate Pharrell Williams la cui influenza nel disco è piuttosto forte.
Ma veniamo alle tracce. “Back Seat Lovers” è puro Michael McDonald e il “nah-nah nah-nah” è contagioso come pochi, “The Innocent” con quelle sue note ascendenti ricorda molto da vicino “Maneater” di Hall & Oates, mentre l'incedere reggae-dub di “Allie Jones” lo trasforma nel fratellino piccolo e sporco di “Haitian Divorce” degli Steelys, e via dicendo; ogni brano rimanda a qualche altra perla che i nostalgici di certo pop sofisticato degli anni 70-80 non possono non rammentare, ma qui proposti in una veste nuova e gradevolissima.





Linee di basso complesse, solide base ritmiche, tastiere e ottoni sparsi in tutto il disco e in più un funk che rende il disco (dalla copertina inquietante e assolutamente fuori luogo) assai più ballabile e pop dei suoi precedenti. Merito anche di Pharrell Williams che mette lo zampino sui pezzi più riusciti del disco: in “Wine Glass Woman” riprende la chitarrina di “Beautiful” nella sua collaborazione con Snoop Doggy Dog, mentre in “Reach out Richard” e “The Stars are ours” il leader dei Neptunes e dei N.E.R.D fa coming out del suo amore per Fagen & Becker, riuscendo a mettere insieme nell'ultimo pezzo le sofisticate linee melodiche con il classico tormentone “hey-ho” che dal vivo funzionerà molto.
I testi parlano come al solito di donne, sesso e sbronze, ma Mayer qui prova anche a raccontare delle storie brillanti, al contrario di quelle un po' maschiliste e superficiali del “collega” Robin Thicke.

La collaborazione di Kendrick Lamar (anche lui prezzemolino mica da ridere) non aggiunge niente di più e, insieme alle ballad in cui Mayer Hawthorne gioca a fare Elton John (come nella conclusiva “All Better”) sono forse i pezzi più deboli di un disco che va giù come un mojito fatto bene, di quelli dissetanti di cui non percepisci il contenuto alcoolico e che ti vien voglia di riprendere ancora e ancora.

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