Alice in Chains - THE DEVIL PUT DINOSAURS HERE - la recensione

Recensione del 04 giu 2013 a cura di Marco Jeannin

Voto 8/10
L’anima degli Alice In Chains è Jerry Cantrell. Lo era ai tempi di Staley, lo è oggi, ancora di più. Gli Alice In Chains sono tornati nel 2009 con “Black gives way to blue”, un album bello e difficile. Difficile per via dell’inevitabile confronto con l’ingombrante passato; con il mito. L’anima degli Alice In Chains però, ripeto, è Jerry Cantrell, ed è il tempo che un po’ tutti se ne facciano una ragione; specialmente dopo aver ascoltato “The devil put dinosaur here”: non si pecca di lesa maestà nel dire apertamente che questo è uno dei migliori album in assoluto degli Alice In Chains. Non si pecca e, soprattutto, non ci si deve sentire minimamente in colpa, perché ammetterlo non significa in alcun modo sminuire o tantomeno (ci mancherebbe altro) dimenticare Staley. Sia chiaro una volta per tutte. “The devil put dinosaur here” è un disco nato senza la benché minima pretesa (o debito da saldare): “Non credo vi sorprenderà quello che sentirete. Siamo noi. E’ comunque un disco unico, il nuovo capitolo della storia degli Alice In Chains; uno bello grosso”. Lo dice Cantrell: facciamo allora che da qui in poi si volta definitivamente pagina.




Dodici pezzi, quasi settanta minuti. Sound asciutto, riff sporchi e pesanti come macigni; melodie acide (il marchio di fabbrica degli AIC) che si stagliano sullo sfondo e si impastano negli intrecci vocali perfettamente amalgamati (e di grande impatto) di Cantrell e DuVall, uno che d’accordo, non avrà l’intensità del suo predecessore, ma ha ampiamente dimostrato di meritarsi il posto dando quel tocco di in più, il suo tocco, ad ogni pezzo. Pezzi in questo caso più metal che rock, senza dubbio, messi ad asciugare all’aria di Seattle. Non c’è davvero molto altro da dire su questo disco se non che la sua grande bellezza risiede interamente nella sua forza. Una forza esibita senza compromessi, quasi uno sfogo. Il trionfo del songwriting di Cantrell; ballate scure di una chiarezza disarmante: “Hollow”… “Pretty done”, l’intro micidiale di “Stone”, un vero capolavoro, un toro che carica a testa bassa; oppure la bella e atmosferica “Hung on a hook”, messa giustamente in chiusura. “Voices” e “Scalpel”, trasudano l’essenza degli Alice In Chains, quelli che sanno scrivere grandi pezzi anche solo con una voce e una chitarra. E poi “The devil put dinosaur here”: quasi sette minuti per la discesa diretta agli inferi; titletrack perfetta, multiforme, stratificata. Non ci sorprende quello che sentiamo, questi sono gli Alice In Chains. A suo modo però è un pezzo unico e possente. Elegante e meraviglioso. “Lab monkey” e “Low ceiling”? Vedi sopra. “Breath on a window”, un treno in corsa. “Phantom limb”, di nuovo sette minuti furibondi di metallo grezzo, un colpo diritto al corpo, e infine “Choke” a chiudere il tutto con un tocco di malinconia. Una chiusura catartica che per contrasto rende tutto il resto ancora più definito e denso. Tutto ancora più bello.


“The devil put dinosaur here” è un signor disco. Un album da prendere con foga e consumare senza ritegno. Il nuovo disco degli Alice In Chains: ad oggi, uno dei migliori in assoluto usciti quest’anno. A Layne probabilmente sarebbe piaciuto.

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