Birdy - BIRDY - la recensione

Recensione del 28 feb 2013 a cura di Paolo Panzeri

Voto 7/10

A proposito di teenager che faranno molto parlare di sé in un vicino futuro, Jasmine Van Den Bogaerde in arte Birdy è una di quelle più accreditate per gli anni a venire. Avete presente quando si sente parlare e dire di predestinati? Ecco, questo è uno di quei casi. Questo è uno di quei casi che se Belzebù non ci intinge la sua sulfurea e tentatrice coda l’assunto che due più due faccia ancora e sempre quattro viene confermato per l’ennesima volta. Gli ingredienti ci sono tutti, ma proprio tutti: al talento musicale è unita la bella presenza, alla freschezza della gioventù una maturità piacevolmente inaspettata.
Sgombriamo il campo dai giri di parole, “Birdy” è un esordio di buona levatura anche e soprattutto alla luce dei soli quindici anni (al tempo della incisione) dell’interprete. Un esordio con i fiocchi per la misura e la classe con la quale ogni canzone viene interpretata. Il fatto che tutte le canzoni (tranne “Without a word”, firmata dalla giovane pianista) siano brani altrui non rende l’impresa più semplice, anzi la complica maledettamente. Confrontarsi con il repertorio altrui rimanendo credibili non è mai cosa semplice. Dietro l’angolo, soprattutto quando si è molto giovani, è in agguato il ‘mortale’ effetto karaoke che tanto riscontra successo nei talent musicali televisivi. Non è mai cosa semplice avere la sensibilità di comporre una playlist altrui che sia equilibrata e credibile, per di più se di matrice maschile.
In Italia il grosso pubblico si è accorto della sua esistenza - questa l’onesta verità – per aver partecipato in qualità di ospite al recente Festival di Sanremo dove ha proposto “Skinny love”. Piano e voce, sul palco del Teatro Ariston. Difficile che, tra chi l’ha vista esibirsi quella sera, non abbia almeno esclamato tra sé e sé…però! Per quanti non lo sapessero “Skinny love” è una delle migliori composizioni di Bon Iver, uno dei talenti più cristallini dell’indie rock attuale. L’ipotesi che i punti di riferimento della ragazza siano da ricercare più tra le composizioni delle giovani barbe che tra i lustrini del pop viene avvalorata anche dalla gioiosa “White winter hymnal” pescata dal repertorio dei Fleet Foxes e da “Terrible love” dei National. Invero quest'ultima esce penalizzata nel confronto con l’originale. Non manca, nelle undici canzoni del disco, un deciso salto nel passato per rendere omaggio a uno dei cantautori a cinque stelle con la riproposizione del James Taylor 1970 di “Fire and rain”.
Questa prima prova è decisamente superata. E’ venuto spontaneo ascoltando il disco, come termine di paragone, pensare ad Adele (identica pulizia vocale in “People help the people” dei Cherry Ghost e identico passaporto), non siamo ancora a quei livelli ma l'affermazione potrebbe non essere una bestemmia. A questo punto l’inevitabile banco di prova sarà il secondo disco quando Birdy verrà chiamata a confermare tutto il buon credito che si è guadagnata, magari rilanciando la posta con un album interamente firmato da lei. Lo scorrere del tempo e l’esperienza non possono che donare a Birdy una maggiore profondità e intensità alla sua interpretazione che in questo esordio a volte risulta ancora acerba e senza quel pizzico di calore nella voce. E forse non può essere che altrimenti, in fondo non ha ancora raggiunto la maggiore età.
Prima di chiudere una curiosità che mi sento di non negare ai lettori: Dirk Bogarde, niente meno, è un pro zio di Birdy. Chi è Dirk Bogarde? Un attore piuttosto bravo che ha lasciato la sua impronta nella storia del cinema per alcune indimenticabili interpretazioni, per tutte valgano quelle de “Il portiere di notte” e “Morte a Venezia”.

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