Se siete cresciuti negli anni ’80, potete partire da “Generate! Generate!”. Avrete un tuffo al cuore. Ma anche la prima canzone di “The right thing” va bene. Quel riff, quel suono.
Johnny Marr.
Quasi nessuno ha segnato il rock inglese come lui, con la sua chitarra, ovunque la portasse: che fossero gli Smiths o qualche altra band. E’ come Peter Buck (altro chitarrista che ha segnato un’era): ovunque suona lo riconosci, riconosci il suo tocco. Solo che Marr è un nomade vero, e forse questa volta ha trovato casa.
Scrive, e bene. Canta, dignitosamente (meglio di Peter Buck, comunque). “The messenger” è un vero e proprio clinic di chitarra rock, da far studiare a generazioni di musicisti, sia quando evoca gli Smiths (“European me”, con chitarre elettriche ed acustiche che si sovrappongono), sia quando gioca con i ritmi in controtempo di “The messenger”, dove dà lezioni a Strokes, Interpol e compagnia suonante.
Non dice nulla di nuovo, beninteso: non c’è nulla di sconvolgente in queste canzoni. C’è stile e ce n’è tanto. C’è il concentrato di una carriera luminosa, e c’è Johnny Marr che finalmente si prende i meriti in prima persona, senza prestare la sua opera al bene altrui. Quanto basta, è certo.