Abulico - IL COLORE DEI PENSIERI - la recensione

Recensione del 21 feb 2013 a cura di Marco Jeannin

Voto 7/10
Una volta gli Abulico cantavano in inglese e facevano indie rock alternativo senza troppi compromessi. Erano i tempi del disco d’esordio, “Behind”, il 2009. Tra l’altro un buonissimo disco d’esordio. Poi sono cresciuti, assestandosi in formazione a quattro, passando all’italiano e ad un pop che profuma di tante altre cose. Li abbiamo presentati la settimana scorsa sulle pagine di The Observer; oggi è arrivato il momento parlare del loro nuovo disco: “Il colore dei pensieri”. Un disco che si pone come spartiacque tra il prima e il dopo, ma non tra il vecchio e il nuovo. Perché degli Abulico che fanno indie rock alternativo, in “Il colore dei miei pensieri” c’è ancora traccia evidente. Solo che ora ha preso una nuova piega. Nei nove pezzi in scaletta, registrati da Vittorio Maggesi presso lo Starlight Studio di Napoli ed interamente autoprodotti, si respira aria di cambiamento, un cambiamento veicolato da un pop quasi cantautorale che non disdegna però l’arrangiamento più audace. Gli Abulico vogliono insomma dare credito a chi li ascolta, cosa questa che non può che fargli onore. Perché anche il pubblico sta cambiando. Perché pezzi come “Althusser (così uccisi Helene)” e “Incerto”, le due vette del disco, sono qualcosa di più che una “canzoncina” cantata in italiano. Sono Canzoni, nate e cresciute con un’estetica sonora ben precisa in testa.




Pezzi estremamente piacevoli da ascoltare, ma molto più stratificati di quello che danno a vedere: detto tra noi, proprio a bassissima voce, al quarto o quinto ascolto salta fuori anche un po’ di post rock. Senza raccontarlo in giro però, che altrimenti la gente si spaventa; manteniamo intatta “La purezza del silenzio”… Aggiungiamoci poi un bel concept a legare il tutto e il gioco è fatto: “Il colore dei pensieri” è tutto un ripercorrere esperienze ed emozioni filtrate dal sottile velo dei ricordi. La mente colorata, la mente triste, la mente malinconica e quella più felice che chiama al suo servizio un pop colorato, il pop triste, il pop malinconico e quello più felice. Il tutto in un viaggio della durata di poco meno di quaranta minuti, giusto per rendere il tutto ancora più godibile: “Fragile”, il singolo, dura tre minuti e quattrodici, parte subito in quarta, rimbalza dolcemente in un dialogo tra il basso, la chitarra e la batteria mentre la voce e la melodia ti si appiccicano addosso. E poi attacca il crescendo. Da manuale. “Autunno 1972 (un architetto)” per metà gira solamente intorno al basso, mentre l’altra è materiale da fiati. Alla faccia della ballata. “Il tempo e la scelta”, la butto lì, dovrebbe avere un posto fisso in radio.


Si diceva in apertura di come le cose siano cambiate rispetto ai tempi dell’esordio, e di come sia preferibile parlare di “prima e dopo” e non di “vecchio e nuovo”. E’ una questione di maturazione, e non di ripartenza da zero. Gli Abulico sono in piena crescita, hanno scelto la strada da percorrere (primo passo fondamentale) e si stanno ritagliando il loro spazio all’interno di un mondo che “prima” sembrava così lontano, ma che “dopo” possono iniziare a chiamare casa. “Il colore dei pensieri” è la loro new wave.

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