È un disco importante, questo, tanto per la band, quanto per i fan. Il motivo è semplice: si tratta – dal 1984 a oggi – del primo in cui l’apporto di D’Amour è totalmente assente (per chi se lo domandasse: nei due lavori precedenti, usciti comunque dopo il decesso del chitarrista, sono state utilizzate molte tracce recuperate dai suoi computer, tenendo così viva la sua eredità). In qualità di compositore principale e chitarrista dal sound eccentrico e soprattutto personalissimo, il compianto Piggy ha in toto tutte le caratteristiche del musicista non rimpiazzabile, quindi le aspettative di cui nasce ammantato questo disco sono davvero pesanti.
Ebbene, cari metallari e derivati, i Voivod ce l’hanno fatta. “Target earth” suona come un omaggio incredibilmente fedele e filologico al songwriting e al sound di D’Amour, consegnandoci una band ispiratissima, in forma e soprattutto fedele alla propria natura – quella che iniziò a fare capolino con “Killing technology”, per poi far diventare i Voivod… i Voivod (mi si perdoni la tautologia). Il feeling generale ricorda da vicino lavori ormai quasi leggendari della loro discografia, come “Dimension Hatröss” (1988) e “Nothingface” (1989) – tra dissonanze, brani spigolosi e angolari, divagazioni deraglianti, animo prog e quel senso di pericolo imminente che da sempre rende speciali i migliori dischi dei Voivod.
Gli elementi che fanno di “Target earth” il miglior disco dei Voivod dai tempi di “The outer limits” (uscito oggettivamente una vita fa: nel 1993, quindi 20 anni orsono) sembrerebbero essere due: in primis la reunion con il bassista originale Jean-Yves Thériault alias Blacky, fuori dal gruppo dal 1991; si ritrovano così tre quarti dei Voivod originali, dimostrando quanto il loro peso fosse determinante per la definizione della personalità del gruppo – che dipendeva principalmente dall’arte di Piggy, ma non solo, evidentemente. E poi non è da sottovalutare il lavoro fatto dal nuovo arrivato Dan “Chewy” Mongrain, che si è calato nell’universo chitarristico e mentale di Piggy, arrivando a immedesimarsi in lui e riuscendo anche a instillare un po’ del proprio stile – più tecnico, meno istintivo, ma anche più fluido.
Dalla furia techno thrash di “Kluskap O’com” all’epico inferno prog di “Mechanical Mind”, passando per la lenta e disturbata “Empathy for the enemy” e la più rock “Resistance”, l’album si dipana convincente e solido. E in chiusura troviamo la mortifera “Defiance”, che sfuma in fading dopo soli 90 secondi, quasi a fare da preview per ciò che il futuro dei Voivod ci porterà. E, a giudicare da questo minuto e mezzo, c’è da attendere con le antenne ben dritte, perché si tratta di roba che scotta.