Pensare a queste congetture nel 2012 fa sorridere perché "Bionic" si rivelò poi un album tutt'altro che rivoluzionario: il desiderio della cantante di allontanarsi dal pop tradizionale veniva schiacciato dalla necessità di accontentare il grande pubblico, e per ogni idea ardita c'era un ingombrante cliché. Dal flop commerciale e artistico di "Bionic", si percepirono comunque l'estro e la versatilità di Aguilera, che ora si dice risorta e non le mancano le metafore per dimostrarlo.
"Lotus", che apre il nuovo album dallo stesso titolo, è il manifesto di un nuovo inizio: l'indistruttibile fiore di loto che sopravvive alle avversità e risboccia – con qualche chilo in più. Purtroppo, però, l'introduzione è di gran lunga il momento migliore dell'opera e si rivela fuorviante: il resto è ordinario nel particolare e schizofrenico nel complesso.
Come in "Bionic", la cantante ancora una volta tira fuori dal cilindro conigli di tutti i generi musicali: la dance post-Guetta che insozza le classifiche degli ultimi anni, l'R&B pruriginoso, gli inni di self-empowerment rockeggianti, il country col collega di The Voice Blake Shelton e le immancabili ballate. Appartengono all'ultima categoria "Sing for me" e "Blank page": le due canzoni, incastrate a metà percorso, ritrovano la Aguilera nella sua versione più celebrata e apprezzata, quella a cui si ispirano tutti i concorrenti dei talent show, quella che sforna un classico contemporaneo ogni volta che abbassa i BPM. Non si può negare che, per quanto stucchevoli e prevedibili, siano momenti molto riusciti: "Sing for me" è un'auto-celebrazione delle sue doti canore con tutte le svisate del caso, mentre "Blank page" è un sentito mea culpa per pianoforte e voce scritto dall'onnipresente Sia .
Con queste ballate, Christina Aguilera sembra suggerire di avere ancora bisogno di cavalli di battaglia tradizionali, nonché delle royalty percepite con trailer e RVM strappalacrime. Non è pronta per abbassare la voce, moderare i toni e fare un intero disco di elettronica minimale come la traccia di apertura di "Lotus" – e forse non lo sarà mai. Dovrebbe, però, trovare una cura alla bulimia musicale che già affliggeva "Bionic", e che, nel volere accontentare tutti, non accontentò nessuno.