Tutto qui, sui Tame Impala dal punto di vista sonoro c’è poco da aggiungere rispetto a quanto già detto ai tempi di “Innerspeaker”. “Lonerism” è semplicemente più grande, più maturo e più corposo. E, per quanto sempre estremamente derivativo, rappresenta la quintessenza del gruppo stesso. Più che di un semplice seguito (per quanto pensato come tale), qui stiamo parlando della piena realizzazione di un progetto sonoro iniziato nel ormai lontano 1999 e cresciuto così tanto da diventare punto di riferimento. Cresce Parker, crescono i Tame Impala. Crescono anche i mezzi e le capacità per tradurre in suono l’idea di poter fare un disco alla vecchia maniera, senza però scadere nella copia sfacciata. In questo senso “Lonerism” richiede un approccio simile a quello riservato a band come gli
Difficile pescarne una più (o meno) significativa di un’altra: con dischi del genere perdersi nella descrizione di ogni singolo pezzo è un’operazione senza senso dato che il senso stesso deriva proprio dall’insieme, dalla totalità dei brani. Ascoltare “Lonerism” dall’inizio alla fine è quindi il modo migliore per poterlo apprezzare fino in fondo, sembra una banalità ma è vero. Non si sbircia solamente nella tana del Bianconiglio (la testa di Parker?); se l’avventura la vuoi vivere da cima a fondo, ti ci devi buttare di testa. Servono una cinquantina di minuti abbondanti, d'accordo, ma anche il tempo dopo un po’ diventa una questione davvero relativa. È noto infatti, che la bellezza di questo genere di musica risiede proprio nella capacità di farti perdere i sensi, spalancando contemporaneamente le porte della percezione. Questo era, questo è.
I Tame Impala, molto semplicemente, hanno dato i mezzi a Parker per portare alla luce, e forse esorcizzare le sue ossessioni, paure, ansie: “Lonerism” è la perfetta combinazione di significante e significato, forma e contenuto legati indissolubilmente per generare un segno davvero unico nel suo genere. Parker stesso. “Lonerism” è dunque la pura espressione di un uomo. Davvero un gran bel disco.