Ascoltare il disco, quello sì, posso farlo. E posso riferirvi che non ne sono né entusiasta né particolarmente insoddisfatto. Il mestiere è quello, e non lo si dimentica anche se non lo si è praticato da tempo; le voci e il loro impasto restano deliziosi, anche se costantemente a rischio di autocitazione; semmai quel che manca all’album è un numero decente di canzoni di qualità superiore. Il brano di apertura, a cappella, è una sorta di dichiarazione di intenti; “That’s why God made the radio” vive di rendita su un titolo killer; ma di lì in poi si scende. Il livello medio è comunque alto (e ci mancherebbe) ma l’intento autocelebrativo – connesso al cinquantenario dell’inizio dell’attività della band – fa aggio sulla voglia di raccontare in musica cose nuove e diverse.
Poi, però, arrivano le ultime tre canzoni – “From there to back again”, “Pacific Coast Highway” e “Summer’s gone” - una sorta di minisuite ispiratissima (l’ultimo brano reca anche, curiosamente, un credito autoriale a Jon Bon Jovi) che può legittimamente costituire il migliore epitaffio per la carriera di un gruppo che ha tutte le ragioni per restare nella storia del pop.
Colgo l’occasione, e penso che sia una buona occasione anche per loro, per segnalare qui l’uscita di “FreebOObin’” dei Sunny Boys: nati come tribute band dei Beach Boys, i ragazzi torinesi sono al loro secondo CD di brani originali (hanno pubblicato anche un paio di canzoni in italiano, sinceramente non epocali), e pur allontanandosi, ormai, dal modello di riferimento primigenio (e avvicinandosi a un power-pop-surf-punk molto gradevole) continuano ad avere nel loro DNA le sonorità dei Beach Boys. Ecco, in “FreebOObin’” c’è una canzone – la traccia 9, “Different circles” – che, sinceramente, non avrebbe sfigurato in un disco dei Beach Boys: e non parlo solo di questo ultimo disco. Se vi capita, ascoltatela. Ne converrete.