Darkness - HOT CAKES - la recensione

Recensione del 27 ago 2012 a cura di Andrea Valentini

Voto 10/10
Sette anni lontani dai palchi e dal music biz. Sette anni per ricomporre i cocci di quella cavalcata rapida e sguaiata che sono stati i Darkness tra il 2003 e il 2006, quando hanno ceduto sotto al peso dei più classici problemi da rocker: dissidi, litigi, successo che ti arrota e soprattutto gli eccessi. C’era di che temere e ragionevolmente, in effetti, dopo tutto questo tempo… del resto nella vita artistica di una band sette anni sono un’eternità, anzi molti nemmeno arrivano a durarli, sette anni; invece i Darkness, in puro stile da fuoriclasse, mettono a tacere scettici, detrattori e Bastian Contrari professionisti. Già, perché “Hot cakes” (il terzo capitolo della discografia del gruppo), se possibile, è ancora più convincente dei suoi predecessori: un’opera magna di Rock – maiuscolo, è d’obbligo – albionico, figlio della tradizione, della classicità e dei mostri sacri, ma esente dall’effetto scimmietta ammaestrata che spesso piaga artisti e produzioni simili, che mancano di personalità, al netto di indubbia bravura e rigore filologico.

Se questo album avesse una tag cloud a corredo, l’effetto sarebbe quello di un florilegio di nomi e riferimenti leggendari; già, perché le ispirazioni da cui “Hot cakes” scaturisce sono immediate da identificare, ma tutte delicate da maneggiare senza rischiare figuracce. In primo luogo c’è il filone del rock inglese dei Maestri: i Queen più maestosi, gli Who, i Thin Lizzy di Phil Lynott, un tocco di Zeppelin, una bella pennellata di Stones, lo spirito di Marc Bolan e dei T-Rex che aleggia in ogni strofa, il pop metal dei Def Leppard, l’esuberanza taurina del pub rock primigenio di Dr Feelgood e compagnia belligerante, il divertimento dalla pinta facile dei Free, il rock boogie degli Status Quo, il glam rock un po’ (tanto) tamarro di Gary Glitter e – perché no – il piglio hard rock punkizzato degli Iron Maiden d’annata ( “Street spirit”, sin dall’attacco, sembra una outtake fine anni Settanta della band di Steve Harris, oltre al fatto che Justin Hawkins ha alcuni momenti molto “alla Bruce Dickinson” nel cantato). E poi, visto che il retaggio del migliore Rock non è per nulla esclusiva inglese, i Darkness si concedono divagazioni all’aroma di AC/DC, Boston, Van Halen, Kiss, Chicago ed Eagles, tanto per gradire.





Certo, le atmosfere sono indubbiamente retro-rock, ma – come si accennava poco sopra – non manca la personalità nel maneggiare questo materiale altrimenti esausto. È difficile, per non dire quasi impossibile, riuscire ad agganciare l’attenzione per più di 40 minuti, come loro riescono a fare, cimentandosi in questi percorsi sonici; ma i Darkness ne escono a testa altissima e, probabilmente, anche con il loro miglior disco fino a ora uscito, capace di superare i fasti di quel debutto al fulmicotone che fu “Permission to land”.
Riffoni a presa rapida, melodia, produzione heavy ma curatissima, falsetti perennemente in bilico tra il serio e la parodia, power ballad, rock aggressivi e muscolari, aperture orchestrali barocche e imperiose, segmenti pop a presa rapida… il campionario c’è tutto ed è ben gestito, con la maestria dei professionisti maturi. Tanto che ci si potrebbe sbilanciare con leggerezza e dire che “Hot cakes” è, con buone probabilità, il disco rock di questo segmento estate/autunno 2012. Da ascoltare e riascoltare.

E poi, il prossimo due ottobre, i più temerari potranno vederli dal vivo in Italia di supporto a... Lady Gaga.

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