Probabilmente non è questa la genesi di "Childhood's end", ma ci piace pensare che potrebbe essere andata così, complice la dimensione esoterica e onirica che i 16 brani dell'album evocano nitidamente. E, per farlo, gli ex black metaller Ulver ricorrono a un'operazione non inedita, ma di norma pericolosa quanto un intervento a cuore aperto da eseguire su una nave in balia delle onde e usando strumenti di fortuna: l'album di cover. Già, perché questo nono disco dei "lupi" norvegesi non contiene materiale originale della band, ma 16 pezzi provenienti dal periodo compreso tra la fine dei Sessanta e l'inizio dei Settanta, tutti in qualche modo riconducibili al filone legato alla psichedelia (statunitense e inglese), ma anche in parte al freakbeat e al garage rock più scuro e allucinato. I nomi chiamati in causa e a cui "scippare" le canzoni sono di quelli da storia del rock: si va dai Pretty things ai Les fleur De Lys, passando per Byrds, Music Machine, Jeffreson Airplane, Chocolate Watchband, gli inarrivabili 13th Floor Elevators, i Troggs... capita l'antifona? Storia, allo stato puro, con tutte le implicazioni e le difficoltà che ne conseguono. Perché rendere giustizia a questa roba (peraltro gli Ulver non hanno scelto certo solo i pezzi più noti e famosi: sarebbe stato troppo semplice) è un'impresa durissima.
Ebbene, in questo caso tutto fila liscio, in maniera quasi imbarazzante; compresa la rilettura, la "ulverizzazione" (mai troppo spinta, però) dei brani. Per cui è un piacere riascoltare un classicone come "I had too much to dream last night" già ombroso di per sé, ma spennellato di malinconia e aria di minaccioso presagio dalla band norvegese. Così come i 13th Floor Elevators - tanto per fare un nome - vengono reinterpretati in modo peculiare, ma senza snaturarne lo spirito da psiconauti texani.
È interessante, poi, come per questo set di brani vintage gli Ulver abbiano ridotto al lumicino le suggestioni elettroniche che da qualche album li contraddistinguono, quasi a voler rendere un rispettoso omaggio alla tecnologia analogica di quarant'anni (e più) orsono. E la sorpresa è che gli Ulver funzionano a meraviglia anche spogliati dall'aura più moderna e sperimentale, abbracciando senza remore il modus operandi di band che suonavano quando loro forse nemmeno erano nati.
Se amate la psichedelia e se gli album di cover non vi fanno l'effetto di un croceficsso sulla pelle di vampiro, questo "Childhood's end" potrebbe diventare una presenza costante nel vostro lettore cd. Parola di Cappellaio Matto.