Tema unificante e onnipresente di questo disco, dove il trentaquattrenne musicista della Virginia sta attento come sempre a non alzare troppo l'asticella in modo che tutti possano scavalcarla senza patemi o grossi sforzi. E' un ingrediente base del suo notevole successo e anche il suo limite: la sua è una musica fluida e rassicurante, dai timbri naturali e di piacevole ascolto, su cui il produttore Joe Chiccarelli (abituato alle sonorità ben più abrasive o debordanti dei White Stripes e dei My Morning Jacket) ha deciso saggiamente di muoversi con discrezione e in punta di piedi. Che poi Jason sia dotato di una bella voce spesso modulata in falsetto, che abbia un aspetto accattivante e che piaccia a tante celebrities della musica e del cinema, del gossip e della televisione, aiuta ovviamente la causa. Anche se bisogna prendere atto di come stanno le cose: la sua è una scrittura impeccabile ma un po' superficiale, con un tocco troppo lieve per lasciare segni profondi nella mente di un ascoltatore esigente.
Eppure i mezzi non gli mancano, e lo dimostra anche stavolta con "5/6": sei minuti a ritmo dispari e jazzato che intrecciano organo e chitarre elettriche in una terra di mezzo tra
"The freedom song", che porta la firma del cantautore di Seattle Luc Reynaud, è un pezzo socialmente consapevole e uno dei migliori del mazzo, un pop soul solare tendente al reggae molto estivo e radiofonico che introduce al clima rilassato ed estremamente easy del disco e della musica di Mraz: un Jack Johnson più sofisticato, stessa predilezione per i suoni carezzevoli cullati dalle onde di voci sussurrate e di dolci arpeggi di chitarra acustica. Rinforzata da una robusta batteria e da una sezione fiati, la canzone che apre il disco è uno dei pochi brani veloci in scaletta assieme a "Frank D. Fixer", bella armonica e andamento accattivante, e a "The world as I see it", romantica e sognante. E sarà (anzi, è già) una delle preferite, insieme a "I won't give up", singolo intimista e di successo già venduto in mezzo milione di copie, e a "Everything is sound", con quel ritornello che trasforma un mantra sanscrito in un coro da cantare in concerto agitando il display luminoso del cellulare. Per il resto, il pop levigato (gli americani dicono
Il fatto è che "Love is a four letter word" rivela quasi tutto di sé al primo ascolto, sacrificando spessore e sfumature all'altare della comunicativa immediata, e se i modelli sono Wonder o Billy Joel c'è ancora parecchia strada da fare. Mraz si muove in puro territorio AOR e - buon per lui - ha trovato l'unguento giusto da spalmare sulle orecchie di chi alla musica chiede soprattutto eleganza e piacevolezza scacciapensieri. Se è questo che cercate, accomodatevi. Non vi deluderà.
(Alfredo Marziano)