Clannad - LANDMARKS - la recensione

Recensione del 15 apr 1998

Non è molto incoraggiante vedere pietre tombali in copertina. Né lo è l’impressione che i Clannad con questa storia di creare suggestioni senza tempo ci marcino un po’. Intendiamoci: nessuno chiede ai Clannad un rinnovamento. Ma chi conosce i Clannad da anni non può evitare certi interrogativi. Essenzialmente: vogliamo sentire sempre le stesse armonie, con variazioni preziose e minimali? Per molti estimatori, di fatto, è così, e allora tutto bene. Ad altri estimatori invece può spiacere che i Clannad si stiano ripiegando su se stessi, persi nelle proprie brume. L’ispirazione, quella scintilla (neanche tanto rara, per fortuna, e non ignota ai Clannad) che fa scrivere canzoni belle e anche molto belle sembra essere stata accantonata (eccezion fatta forse per la suadente "Court to love") in favore di un progetto che sembra più scientifico: tenere buoni i fedelissimi da una parte, e confermarsi nome irrinunciabile per i molti che in questo periodo sentono la fascinazione della malinconica estraneità celtica. Un boom che si può rinvenire nella popolarità della new age come nella musica di "Titanic", per non parlare delle pubblicità tv o del primo posto nella hit parade invernale della sorellina Enya.

Ecco allora che questo "Landmarks" sa più di modernissimo intruglio chimico che non di pozione magica. Chi non conosce i Clannad ne sarà inevitabilmente rapito, ma certe atmosfere sono già note a chi considera i dischi da "Macalla" a "Sirius" le autentiche "landmarks" del gruppo di Donegal.

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