“Crazy clown time” è il primo album propriamente detto di David Lynch, ma per il genio multiforme di Missoula le sette note non sono una premiere assoluta, da sempre ci gioca e più di una volta, per non dire quasi sempre, ha espresso parere molto operativo negli accompagnamenti sonori delle sue opere cinematografiche che miscelano immagini e suoni in un corpus unico. Proprio partendo da queste opere si ha la chiave di lettura più immediata per descrivere le atmosfere che si respirano lungo i quattordici brani che compongono il disco. Dalle suggestioni dell’elettronica più visionaria, oscura ed ossessiva (“Good day today” “Noah’s ark”) al rock malato e desertico riverberato da echi waitsiani (“So glad” “I know” “Crazy clown time”), alle pennate chitarristiche che sposano la sua nasalissima voce in “Football game”, voce che altrimenti quasi sempre è modificata o filtrata da sintetizzatori e altre diavolerie (“She rise up” “Movin’ on” “These are my friends”) senza tralasciare un brano strumentale (“The night bell with lightning”) che non può mancare nel menu di chi è abituato a pensare per immagini, l’opera prima musicale di Lynch non sorprende chi già mastica il suo immaginario artistico.
Quattordici canzoni che potrebbero essere benissimo la soundtrack di uno qualsiasi dei suoi lungometraggi. E proprio come accade con questi, a volte l’eccessiva lunghezza e il sovrapporsi di sottointesi e sottotesti, di citazioni e di pennellate improvvise portano – in questo caso l’ascoltatore – a perdersi tra mille rivoli arrivando al momento in cui la musica si placa con il fiato corto. Se al cinema, del quale è maestro indiscusso, l’eccesso lo premia, in “Crazy clown time” (titolo molto lynchiano) sbilancia il tutto, spariglia l’equilibrio e non aiuta il risultato finale.
(Paolo Panzeri)