Neil Young - A TREASURE - la recensione

Recensione del 27 giu 2011

Chissà se quando gli fecero causa perché aveva prodotto musica “non tipica di Neil Young” quei discografici sentivano più nostalgia dei Buffalo Springfield o di CSN&Y; se avevano in mente “Harvest” o “Ohio”; se pensavano più al chitarrista sopraffino o al portavoce di una generazione; se intendevano la star nel supergruppo stellare o il solista di ritorno. Chissà. Ma dire “tipico Neil Young”, ammettiamolo, è un ossimoro. E’ sensato, semmai, parlare di “vintage Neil Young” – proprio come nel caso di “A treasure”, una produzione d’annata perfettamente conservata. Rewind. Siamo a cavallo tra il 1984 e il 1985, quando il canadese da molto tempo non ha più l’età, il passo e l’ambizione di rappresentare l’avanguardia di una controcultura pacifista ed ha abituato il suo pubblico ad attendersi da lui qualsiasi cosa; imperterrito, scorazza dentro a un continente che vive in pieno l’era MTV ed è fiaccato dall’insidioso riflusso delle reaganomics. Ecco che il canadese opta per il country, un po’ come mostrare il dito medio all’industria musicale in quel momento. Circondato da un manipolo di leggende di Nashville e dintorni, ribattezzati International Harvesters, Young parte in tour negli Stati Uniti insieme al fidato Ben Keith (steel e slide guitar), a Rufus Thibodeaux (violino), a Spooner Oldham e Hargus “Pig” Robbins (piano e tastiere), a Tim Drummond e Joe Allen (basso), a Karl Himmel (batteria), a Anthony Crawford (chitarra, banjo e mandolino). Parte in tour con una delle sue migliori band di sempre: suonano da Dio, suonano e basta. Niente messaggi da Neil, se non quello implicito della provocazione - il country dopo tutto conserva un sapore vagamente reazionario, è una scelta redneck, incarna uno stile dall’immagine ingiallita e un po’ guasta in quel periodo. Fast forward, ora. Ventisei anni dopo, ecco il ‘tesoro’recuperato, perfettamente sigillato e resistente alla corruzione del tempo: le registrazioni di quel tour vanno a formare “A treasure”, 12 pezzi live in un album (Reprise Records) proposto in CD, vinile, digital download, edizione de luxe CD/Blu-Ray (nella versione Blu-Ray abbondano i video dal vivo). Puro country vintage, qualche gemma e cinque inediti: il primo singolo “Grey riders”, molto potente e ruvido, che contrasta con la delicata e dolce “Amber Jean”; la comica e divertente “Let your fingers do the walking”, la bluesy e ottima “Soul of a woman” - probabilmente la vetta del disco - e, infine, “Nothing is perfect”. E che dire di “Flying on the ground is wrong”, una splendida cover dei suoi Buffalo Springfield più onirica e sognante che non grass roots, più pop che non country and western: solo Neil Young poteva condurre la creme di Nashville sull’orlo del Laurel Canyon e rievocare un po’ di Beach Boys. Ma gli International Harvesters sanno il fatto loro, e sanno come portare a loro volta Neil Young come dentro a un film di John Ford a cantare “Southern Pacfic”, arrembante, tradizionalissima, trascinante come una locomotiva in piena corsa. Forte del proprio spessore e della propria personalità, Neil Young si è sempre sentito libero di spaziare dal rock all’elettronica, dal blues al rockabilly; improvvisi cambi di direzione, i suoi, che tradivano curiosità ma anche noia; ricerca di nuove sfide con cui, talvolta, finiva con lo sfidare anche il comune senso del pudore musicale; scelte sonore e di genere dentro un percorso che, a posteriori, è evidente che cessò di essere in sintonia con le tendenze dell’epoca che l’artista stava vivendo già alla fine degli anni Settanta. Ma, oggi ci è chiaro, questo è ciò che fece di lui un vero punk dell’anima. “A treasure”, slegato dai condizionamenti dell’attualità e impreziosito dall’aura di scrigno miracolosamente scampato all’oblio, ne testimonia una volta di più la padronanza della musica e sa come trasmettere al pubblico internazionale il senso dell’importanza e del country nella formazione e nella cultura dei migliori artisti d’oltre oceano. Neil lo ama, né è influenzato e, almeno ogni ventisei anni, ne avverte l’attrazione.

(G. Di Carlo)

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