Kaiser Chiefs - THE FUTURE IS MEDIEVAL - la recensione

Recensione del 13 giu 2011 a cura di Franco Bacoccoli

Voto 6/10
Lo scorso 30 maggio Ricky Wilson, 33 anni, il cantante dei Kaiser Chiefs , intervistato su Radio1 della BBC ha presentato "Little shocks", nuova canzone del suo gruppo che era discograficamente inattivo dall'ottobre 2008. Il DJ Zane Lowe, detto Zipper, ha diffuso il pezzo che in contemporanea è andato in streaming sul sito della band di Leeds. Lo scorso 3 giugno, con pochissime anticipazioni su quello che sarebbe stato l'album in arrivo, ecco il download del disco disponibile direttamente sul sito ufficiale della formazione fondata nel 1997 e poi attiva con l'attuale nome dal 2003.

Si scarica l'album e buonanotte? Per niente. I Chiefs hanno infatti avuto una pensata originale. Perché sciroppare i soliti dieci-dodici pezzi e poi a risentirci per un nuovo lavoro dopo due o tre anni? Perché non proporne, invece, molti di più e lasciare che siano gli interessati a sceglierne dieci ad un prezzo fisso e accessibile? Detto, fatto. Ecco così "The future is medieval": i brani tra i quali poter scegliere sono venti, e sul sito si possono ascoltare tutti per circa 1 minuto ognuno. Ciascuno quindi si crea il proprio album-compilation pagandone dieci a 7.50 sterline, circa 8.62 euro. Botta di genio? Scaltro marketing tool? Una trovata come un'altra, buona in ogni caso per far parlare maggiormente del disco? Forse tutte queste ipotesi insieme.
Con la pubblicazione della versione "fisica" dell'album fissata per il prossimo 1° luglio, ecco una traccia per potersi fare un'idea complessiva di quanto viene offerto. "Back in December": un po' stoner, un po' psichedelica e finale corale, è una canzone che si abbevera dagli umori Sixties. "Can't mind my own business": influenze synth-pop che si stemperano in un Britpop forte e attualizzato. "Child of the Jago": un brano sospeso, insoluto, che sembra indeciso sulla direzione da prendere. "Cousin in the Bronx": composizione scanzonata ma anche un mezzo papocchio che non sa bene dove andare. "Coming up for air": innocua canzoncina pop, simpatica e gradevole. "Fly on the wall": ispirazione tra fine anni Settanta e inizio Ottanta, finale con fin troppa carne al fuoco. "Heard it break": fortissime suggestioni synth-pop. "I dare you": camminando sul bordo della scogliera dove già sono passati i Depeche Mode. "If yu will have me": squisita e malinconica composizione acustica con innesti di violino. "Little shocks": l'urgente singolo. "Long way from celebrating": un inaspettato rockaccio. "Man on Mars": pezzo dalle buone ambizioni, cori vagamente Suede, alla fine si rimane disorientati dall'ampio ventaglio di possibili direzioni. "My place is here": in 4: 04 il riassunto di una bella fetta del pop anni Ottanta e Novanta. "Out of focus": pezzo piuttosto claustrofobico, da metropoli UK di sera, bei contrappunti tastiere-gtr e finalone di grande trasporto. "Problem solved": inaspettato rock'n'roll di stampo quasi-Strokes. "Saying something" sa di riempitivo (Andy Gill dell'Independent è dello stesso avviso), poi ecco la picchiettante "Starts with nothing", una "Things change" in cui si incuneano echi di "Young Americans" di Bowie e infine, per un tempo totale di quasi 78 minuti di musica, "When all is quiet" che, pur arraffando dagli anni Sessanta, suona subito come un instant classic.

Che dire? Con una proposta così flessibile, variegata, difficile poter affermare "bello" o "da evitare". Mike Diver della BBC afferma che "è impossibile recensire l'album", e va oltre: "perché questo non è un album", scrive. Non ha tutti i torti. Un'idea di base non c'è, come non c'è un trait d'union, una traccia di continuità. Ci sono dentro tante, tantissime piccole idee musicali; alcune sono sviluppate in maniera squisita, altre rimangono in stato di bozza. Tuttavia, per meno di 9 euro, i fan non dovrebbero lasciarsi scappare questa opportunità.

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