"Suck it and see", il nuovo disco dalla copertina assai essenziale e il cui titolo sta causando problemi di censura proprio negli Stati Uniti, arriva a due anni da quella svolta e conferma che la perfida Albione musicalmente è ancora molto lontana: rispetto ad "Humbug" in realtà siamo in territori sonori più languidi e meno psichedelici, ma il "mood" di fondo rimane indiscutibilmente lo stesso. Per le registrazioni il gruppo ha scelto di nuovo il produttore James Ford, che ha condotto i ragazzi nei Sound City Studio di Los Angeles. Homme stavolta si è astenuto, ad eccezione di qualche coro in "All my down stunts", che non a caso potrebbe essere uscita dalle sessioni dell'album precedente.
Un altro pezzo che ci serve per capire cosa sono diventati gli Arctic Monkeys è "Brick by brick", non a caso distribuito online prima dell'uscita dell'album: sembra di sentire i Queens Of The Stone Age che suonano i Beach Boys . Non fraintendeteci, il pezzo non è un capolavoro assoluto, ma sicuramente un'ottima cavalcata di grande gusto e impatto. Quel "I wanna rock'n'roll" ripetuto tre volte di seguito rimane felicemente in testa. È più acido invece il singolo "Don't sit down 'cause I've moved your chair", grazie al quale "Do the Macarena in the Devil's lair (Balla la Macarena nel nascondiglio del Diavolo)" si candida decisamente alla palma di verso più originale del 2011.
Non mancano episodi smaccatamente pop come "The hellcat spangled shalalala" e "Reckless serenade", che dimostrano però ancora una cosa: Alex Turner, piaccia o no, sa scrivere canzoni come pochi della sua generazione. E ha al suo fianco dei compagni che lo seguono perfettamente: su tutti il batterista Matt Helders, il vero valore aggiunto del gruppo. Sul finale l'atmosfera diventa ancora più languida, forse troppo come dimostra la stanca "Love is a laserquest". La titletrack "Suck it and see", nonostante le chitarre in stile Byrds e i cori eterei, nasconde invece un doppio senso grosso come una casa che non ha bisogno di altri commenti.
A chiudere il cerchio però, quasi come se ad un tratto il ricordo della Madrepatria fosse tornato alla mente di Alex, ci pensa un numero dall'animo british come "That's where you're wrong": un brano che sa di Smiths fino al midollo. Che sia un segnale per il futuro, un ponte lanciato nuovamente verso la Manica? Difficile dirlo. Gli Arctic Monkeys hanno ormai dimostrato di non essere solo una "Next big thing" usa e getta da dare in pasto alle riviste inglesi, ma continuano nel loro percorso artistico con grande convinzione. Che raccontino i sobborghi di Sheffield o le spiagge della California poco importa, tutto sommato. Soprattutto se continuano a regalare canzoni di qualità come queste.
(Giovanni Ansaldo)