Saxon - CALL TO ARMS - la recensione

Recensione del 13 giu 2011 a cura di Andrea Valentini

Sarà probabilmente avventato dirlo, visto che il 2011 è arrivato or ora a metà del proprio percorso, ma "Call to arms" al momento è, senza ombra di dubbio, la miglior uscita in campo di heavy metal che l'annata ha offerto. E c'è anche da sottolineare che i
Saxon si guadagnano questo titolo con disinvoltura ed eleganza, da veri gentleman guerrieri, con un colpo magistrale che giunge inaspettato - ma letale.
Certo, non siamo di fronte a un gruppo di sprovveduti confusionari - i Saxon hanno comunque sfornato fior fiore di dischi, anche nei momenti meno felici della loro lunga storia - ma il quid che rende davvero imperdibile "Call to arms" è l'aver raggiunto un traguardo durissimo anche solo da approcciare: coniugare l'autorevolezza stradaiola e il "sangue" della NWOBHM, con sonorità e produzione più moderne, che strizzano l'occhio al classic rock.
Il risultato è un disco solido, potente, nervoso e anche - perché no? - emozionante: basta pensare alla nostalgica "Back in 79", in grado di far drizzare i peli sulla schiena del metallaro over 40 più indefesso e cinico, con il suo feeling epico-guerriero che rievoca i primi lavori del gruppo (i cori, poi, sono cantati da ben 79 fan dei Saxon, radunati per l'occasione). E che dire della power ballad che dà il titolo al lavoro? Una suite al sapore di divise, chiamate al fronte e metallo che ci trasforma tutti in quattro e quattr'otto in soldati dell'heavy, pronti a partire e combattere per la causa.

C'è anche un piccolo slot dedicato alla "sperimentazione" - se così vogliamo chiamarla... ed è anche ammissibile, visto che ci stiamo muovendo in un ambito per definizione rigido, catafratto e squisitamente conservatore come la NWOBHM; si tratta del brano di chiusura, una versione orchestrale della title track che bypassa con eleganza il rischio di scadere nel barocco più kitsch, offrendo invece una lettura alternativa e più emotiva del pezzo (e pare siano i prodromi di un progetto in divenire, che porterà i Saxon a collaborare con la Filarmonica di Polacca per un concerto, forse rinverdendo i fasti di quanto già i Metallica fecero anni orsono).
La vena compositiva di Biff e compari, dunque, è tutt'altro che esaurita, nonostante qualcuno possa insinuare che il gruppo stia - ruffianamente? - tornando alle proprie origini; sarà, ma se il risultato è questo, che "ruffianeggino" pure, perché la qualità è sopraffina. Ma non va sottovalutato il lavoro fatto dietro alla console, perché un disco così trae un buon 50% del proprio fascino dai suoni e dal feeling che solo una produzione adatta può donargli. In questo caso gli artefici della magia di "Call to arms" sono due co-produttori, ossia il cantante della band stesso - Biff Byford - e un reduce della scena metal/hard inglese a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta: mr Toby Jepson, prima chitarrista/cantante dei Little Angels e poi cantante dei Gun per un breve periodo; una coppia bizzarra, che ha funzionato alla perfezione.

Insomma, è chiaro: il revival degli anni Ottanta è di moda tra le band metal più giovani, ma finché ci saranno in giro dei maturi signori come Saxon (e Motorhead, perché no) a sfornare dischi così, il revival sarà confinato a semplice divertissement, perché gli originali sono sempre in sella e pronti a menare mazzate - e chi se ne frega dei capelli grigi o di qualche testa rasata per nascondere la pelata.


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