"Lux mundi" è un signor album di post black metal che - in pura modalità di sintesi dialettica hegeliana - metabolizza, ingloba e supera il passato recente e non della band. Quello che ne scaturisce è un disco non esasperatamente violento come il predecessore (che era quasi fine a se stesso nel voler essere a ogni costo puro caos), né un lavoro troppo elettronico e sperimentale. Piuttosto siamo di fronte a un lp compatto, maturo, ma soprattutto evocativo e maligno. I colori della tavolozza sono il black (quello delle origini, ma anche il melodic), frammenti electro, un po' di thrash e l'incedere macilento del doom. Le sfumature sono date dal cantato sempre demoniaco (quasi da alieno bisognoso di un esorcismo) di Vorphalack e da una coltre pesante, gelida e letale di tastiere.
La melodia non manca mai, ma è affannosa, quasi infetta - e costantemente a rischio di essere strangolata da qualche passaggio mortifero alla Celtic Frost (tanto per restare in terra di cioccolatini, orologi a cucù e mucche da latte), o da un ringhio del buon vecchio Vorph. E' questa dinamica che, fondamentalmente, rende appetibile una formula altrimenti standard e abusata: la costante sensazione di minaccia incombente trasforma sonorità, immagini e concetti acquisiti in oscuri sentieri che nascondono pericoli che è meglio non conoscere.
I Samael, quindi, hanno smentito i loro detrattori, che già li avevano seppelliti nel campo della banalità dopo l'ultima prova; si ripresentano - tra l'altro dopo un periodo turbolento, che quasi li ha portati allo scioglimento - in forma e armati di quella che potrebbe essere una nuova consapevolezza. Una volta la chiamavano maturazione, ma per una band in giro da 24 anni qualcuno s'è azzardato a parlare di ringiovanimento. Chissà...
Se attendevate il degno successore di "Passage", probabilmente potete ritenervi soddisfatti: "Lux mundi" regge alla grande il confronto. Quello che gli manca è la decantazione che solo il tempo può portare.