Usher - MY WAY - la recensione

Recensione del 08 apr 1998

I critici, quando possono, tendono ad evitare dischi come questi. Recensire le produzioni teen-oriented, in mancanza di un fenomeno para-sociologico cui aggrapparsi, è un’opera da kamikaze, anche perché a chi ha superato la trentina (ovvero il 95% dei critici rock) questi dischi non dicono proprio nulla. Li spiazzano. Li innervosiscono. Nel caso di Usher, tuttavia, siamo lontani dai Boyz II Men o dai Backstreet Boys, tanto per fare due nomi. "My way" ha una tale raffinatezza "black" da lasciare quasi interdetti: gli ammiccamenti ai teenagers sono contenuti, e il risultato finale somiglia molto a certa languida "musica da fighi" (quella che piace ai seguaci di Nick the Nightfly - e facciamoli, ‘sti nomi e cognomi per una volta). Il 18enne di Chattanooga ha fatto un disco (il suo secondo) molto cool, raffinato e patinato, che si rivolge ai suoi coetanei ma può conquistare anche i più navigati avventori dei music club della birra. Non è che abbia fatto tutto da solo, intendiamoci: dietro ci sono Babyface, Teddy Riley e Jermaine Dupri. I quali si coccolano il loro bel ragazzino con la voce carezzevole, e lo immergono in un mare di ballate molto slow: tanto per chiarire le intenzioni, ci sono "Nice and slow" e una "Slow jam"; poco hip hop, al massimo un po’ di uptempo con "You make me wanna" e un intervento rap di Lil’Kim che vale al disco il bollino USA delle parolacce. Nel complesso, in un genere dove la banalità si spreca e viene premiata, il disco di Usher spicca per ricercatezza. Chissà cosa farà a diciannove anni.

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